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Henry S. Churchill
"Urbanistica", Voce dell'Enciclopedia Americana (1963)
31 Marzo 2004
Urbanisti Urbanistica Città
La storia della città, la nascita e i problemi dell’urbanistica del passato e di quella contemporanea, il ruolo dell’urbanista questi sono i temi che Henry S. Churchill affronta nel suo saggio City Planning in the United States, voce di The Encyclopedia Americana, New York, Chicago, Washington, 1963. L’ottica è soprattutto quella degli USA del secolo scorso, ed è questo l’interesse principale del testo per un lettore europeo, che può confrontare l’angolazione e “peso” relativo di alcuni temi e problemi, esposti nella forma concisa della voce enciclopedica.

Questo saggio tratta la storia e le moderne tendenze dell’urbanistica.

Storia

L’urbanistica è probabilmente vecchia tanto quanto la civiltà. Nel momento in cui l’uomo iniziò a costruire insediamenti permanenti, sorsero problemi che richiedevano di pensare ai futuri usi del suolo, e di stabilire garanzie per quegli usi. L’accesso comune e senza ostacoli alle fonti d’acqua fu con ogni probabilità il primo e più importante di questi bisogni. La sorgente non era di proprietà di nessun individuo, ma della comunità, e i sentieri e strade che vi conducevano erano nello stesso modo proprietà comune. Alcuni appezzamenti di terreno divennero proprietà di individui, i cui diritti sul suolo richiesero descrizione e definizione. Riconciliare i due tipi di uso, pubblico o privato, formò le basi primitive dell’urbanistica. Il fatto fisico e lo stato legale crebbero insieme.

La crescente complessità degli insediamenti permanenti fa emergere il fatto che certe decisioni, ovvero decisioni urbanistiche, devono essere state prese in ogni città mai esistita. Il grado di sviluppo a cui l’urbanistica era portata variava, e senza dubbio dipendeva in gran parte dal gradi di organizzazione nella civiltà che la produceva. Certe città molto antiche mostrano un alto livello di pianificazione, mentre altre evidenziano solo rudimentali schemi stradali.

L’accumulazione di ricchezza nelle città rese la difesa contro gli attacchi delle bande di predatori un’altro motivo di pianificazione; a ben vedere la protezione offerta dalle città fu una delle ragioni della loro crescita. Man mano le nazioni crescevano in potenza, e le guerre diventavano meglio organizzate e pianificate, aumentava l’importanza dell’urbanistica difensiva. La maggior parte delle città, oltre ad essere fonte di bottino, erano anche collocate strategicamente rispetto alle vie naturali di commercio. Esse erano cresciute naturalmente in quei punti, perché gli scambi erano la loro funzione primaria. Parlando in termini generali, si svilupparono due tipi di città. Una era la città in cima alla collina, il cui potere difensivo era concentrato nella compatta cittadella a picco su una rupe, con la città vera e propria protetta solo parzialmente. L’altro tipo era la città nella pianura, abitualmente circondata da mura. L’organizzazione urbanistica era orientata, nel primo caso, a permettere agli abitanti di rifugiarsi rapidamente nella cittadella; nel secondo, era mirata a far loro raggiungere i posti di combattimento sulle mura.

Dunque l’accessibilità dei suoli per usi e funzioni pubbliche, la definizione degli usi privati dei terreni, e la difesa di entrambi, furono i problemi chiave da cui ebbe inizio l’urbanistica. All’epoca in cui ebbero sviluppo le grandi città classiche, era apparso un altro elemento di grande importanza: l’orgoglio civico. I governanti delle antiche città volevano lasciare dietro di sé monumenti al proprio potere e beneficenza. Né le grandi città governate da aristocratici, o oligarchi, o democratici, avevano niente da invidiare a quelle controllate da re o tiranni, per quanto riguardava l’attenzione ai programmi edilizi di bellezza o utilità. Sorsero grandi edifici e opere d’arte, che richiedevano splendide sistemazioni: piazze e fori per gli incontri pubblici e le sfilate della potenza militare; templi, palazzi, colonnati e basiliche. L’urbanistica era architettura, e l’architettura era urbanistica. Quanto strettamente correlate fossero queste due arti, appare chiaro nei resti dell’Acropoli di Atene, nelle rovine di Persepoli, a Roma, e in quanto rimane di ogni città antica in ogni parte del mondo.

L’idea della città pianificata fu diffusa in Europa dalle legioni romane, i cui campi erano costruiti secondo quadrati, in una logica militare che deve essere stata molto simile a quella con cui sono costruiti i moderni campi dell’esercito: abbattimento di tutti gli alberi e disposizione di tutte le strutture in regolare allineamento, con ampie strade per la concentrazione delle truppe.

Questo impianto romano sta alla base di molte città continentali e britanniche, sebbene nella maggior parte dei casi l’originaria regolarità sia andata persa nella confusione medievale di vie strette e case densamente affollate. Lo schema medievale era piuttosto diverso da quello romano, perché diverso era il metodo di guerra. Le legioni romane altamente organizzate scomparvero dopo la caduta di Roma, e la guerra su vasta scala diretta da un centro non riapparve fino ai tempi del primo Rinascimento. Le città del Medio Evo erano molto piccole, molto compatte, poco più che grumi di case attorno alla base di una fortezza. Anche le grandi città, come Parigi o Londra, erano di estensione limitata, e il terreno all’interno delle mura era utilizzato fino all’ultimo piede quadro. Nondimeno, anche la città medievale era pianificata nei suoi elementi principali. Il principio dell’accessibilità per la difesa era ancora di gran lunga il più importante, ma non si dimenticava quello dell’uso pubblico degli spazi. Gli aspetti visivi della chiesa o della cattedrale erano le principali preoccupazioni estetiche.

La transizione alla città del Rinascimento, con la sua ariosità, l’enfasi sull’aspetto terreno dell’esistenza, è naturalmente parallela ai cambiamenti sociali, mercantili e di governo. Aumentava la ricchezza, aumentava la sicurezza personale, mentre i governi diventavano più forti e centralizzati. Più importante forse di tutto, le nuove scoperte nel campo della matematica, della fisica e della chimica portarono in uso nuovi metodi nella guerra, di cui la polvere da sparo e il cannone divennero le nuovi armi di attacco, micidiali prodotti di un grande e duraturo mutamento tecnologico. Le conseguenze per la città furono l’abbassamento delle mura, visto che l’alta parete di mattoni, così efficace contro archi e frecce, così come contro gli attacchi corpo a corpo, era priva di senso contro il cannone e il fucile. Fu escogitato un nuovo tipo di fortificazione, e con essa un nuovo tipo di città, che rispondeva al bisogno di mobilitazione di truppe su vasta scala: ampi viali, grandi piazze. Visto che i governanti volevano ancora commemorare se stessi, furono disegnati edifici pubblici e palazzi alla scala dei grandi, ampi viale. Furono costruite città interamente nuove, completamente pianificate, funzionali e autosufficienti, molte di esse magnifiche nella concezione e nella realizzazione. Alcune, è interessante notare, erano operazioni speculative da parte dei principi: case e attività dentro ad esse erano offerte in vendita in termini tanto enfatici e ingannevoli quanto quelli delle lottizzazioni moderne.

Il XVII e XVIII secolo sono il punto più alto dell’urbanistica europea, fino al primo XX secolo, sia in qualità che in quantità. Da qui vengono gli eccellenti piani spagnoli per Città del Messico, Lima, Città del Guatemala, Antigua, e molte altre città dell’America Latina; e attraverso altri canali i bei piani di molte città coloniali del nord e di alcuni occasionali casi di eccellenza nel sud come Savannah, Augusta e Williamsburgh.

Con l’inizio del XIX secolo l’intero retroterra tecnologico delle città è cambiato dalla Rivoluzione Industriale. Le città pre-industriali erano il prodotto di civiltà dove, anche se ricchezze e benessere non erano disdegnati, veniva conferita grande importanza alla vita oltre gli aspetti strettamente materiali. Le città riflettevano ciò in una varietà di modi: nell’offrire amenità alla vita quotidiana, nell’alta considerazione dei valori estetici, nelle relazioni dell’impianto urbano con il paesaggio rurale. Molto di questo era inconsapevole; era una fedele immagine dello spirito dei tempi. La città industriale era tutt’altro che un’immagine. La crescita nell’uso del denaro, da mezzo di scambio nei primi stadi di sviluppo dei commerci internazionali al completo dominio della mente e dello spirito dell’uomo occidentale a metà del XIX secolo, è parallela alla degenerazione delle città, e a una deliberata degradazione dell’idea urbana, delle risorse naturali, degradazione del contadino e dell’artigiano ad abitatore di slum. Fumo, vapore e slums furono i doni della Rivoluzione Industriale alle città.

In generale l’urbanistica delle prime città americane era stata eccellente. Le colonie settentrionali seguivano la tradizione di basare l’economia delle proprie città sull’uso del suolo. Le abitazioni erano raccolte attorno a terreni comuni, le fattorie erano adiacenti. Una volta terminata la colonizzazione, non c’era bisogno di mura, e le città crebbero spaziose. Quando una comunità diventava troppo grande per adeguate comunicazioni interne, venivano fondate nuove città. La tradizione meridionale era leggermente diversa, dato che derivava non da un retroterra democratico, puritano, agricolo, ma da tradizioni aristocratiche e liberali su cui si era innestata la schiavitù. La differenza fra Litchfield, Connecticut, e Williamsburg, Virginia, per esempio, illustra tutto questo. Comunque, l’influenza delle tradizioni meridionali fu limitata, mentre quelle settentrionali si diffusero attraverso la Western Reserve e i territori adiacenti.

Una terza influenza divenne importante dopo che la città di Washington fu progettata dal Maggiore Pierre l’Enfant. Qui si trattava di tradizione del tardo Rinascimento, basata sull’efficace collocamento di edifici pubblici, e la connessione di punti focali attraverso ampie arterie radiali. Buffalo e Detroit mostrano tracce di questa influenza.

Quando gli Stati Uniti iniziarono effettivamente ad espandersi, e la marcia verso l’ovest dell’industria cominciò a seguire le ferrovie attraverso i territori selvaggi, furono pianificate a centinaia nuove città. Erano disegnate da geometri e deliberatamente pianificate per una espansione speculativa. Lo schema a griglia delle strade si prestava facilmente a questo scopo. In primo luogo, è rapido e facile da mappare, dato che è tutto linee diritte e angoli retti, e questo fatto della velocità non è di poco conto. C’erano pochi geometri e molto lavoro da fare. In secondo luogo, questo forniva il metodo più semplice di descrizione del lotto per la vendita e registrazione. Terzo, provvedeva un sistema di strade indifferenziato, un vantaggio perché nessuno sapeva per cosa il terreno potesse essere utilizzato – residenza, affari, industria. Per almeno 50 anni questa tradizione da geometri fu la dominante nell’urbanistica delle città americane. Questi furono gli anni dell’espansione. Non solo il numero delle città aumentava, ma le città più vecchie raddoppiavano e triplicavano la popolazione da un censimento all’altro. Le città gonfiate divennero soffocate dagli slums, costruiti per alloggiare i lavoratori immigrati, e alcune di esse, in particolare New York e Chicago, si trasformarono in tali luoghi di malattia, crimine e miseria umana, da suscitare sforzi di riforma. Fu questo rivoltarsi contro lo slum, che portò la questione delle abitazioni e gli aspetti sociali dentro la moderna urbanistica.

Un’influenza più diretta, per l’urbanistica, fu l’effetto cumulativo delle visite in Europa dei ricchi e influenti industriali, e insieme del “bossismo” politico. I “bosses” dovevano avere i lavori pubblici da poter utilizzare come fonte ideale di guadagno illecito. Molti dei nostri più bei parchi e edifici pubblici si devono ai personaggi più squalificati. Come Giulio Cesare, essi miravano a blandire il pubblico con il dono di parchi e luoghi di pubblico divertimento. Gli industriali, di ritorno dalla Parigi di Haussmann, da Vienna, da Roma, avvertivano l’insufficienza dello schema a griglia e dei monumenti di ghisa, come espressione di una grande e prospera nazione. Nel 1893 la White City a Chicago mostrò al popolo degli Stati Uniti cosa poteva essere fatto. Il movimento “City Beautiful” iniziò il suo cammino. Questo movimento durò fino ai primi anni del XX secolo. L’enfasi era sull’aspetto esteriore delle città, i centri civici, i viali, le piazze, i gruppi di strutture importanti, la localizzazione dei monumenti. L’ispirazione variava, dal “grand plan” di influenza francese al villaggio di cottages dell’Inghilterra. Si ignorava completamente l’aspetto economico dell’urbanistica, e non c’era consapevolezza delle implicazioni sociali. Nondimeno, si sollevò l’interesse di un grande numero di persone preparando così la strada per l’urbanistica più incisiva che doveva venire.

Negli anni ’90 si verificarono importanti sviluppi all’estero, che in seguito dovevano esercitare una forte influenza sulla teoria e la pratica americane. Camillo Sitte pubblicò il suo libro L’Arte di costruire le Città, e Sir Ebenezer Howard pubblicò To-morrow, a Peaceful Path to Real Reform (più tardi reintitolato La Città Giardino del futuro). Il libro di Sitte qui ebbe effetto solo indiretto. Fu tradotto dall’italiano in francese e circolava normalmente in Inghilterra, ma fino al 1945 non fu tradotto in inglese e fatto circolare negli Stati Uniti. Fu attraverso la pratica europea e inglese che le sue teorie vennero diffuse. Howard ebbe successo non solo in teoria: due “città giardino”, Letchworth e Welwyn, furono costruite secondo le linee suggerite dal suo libro. Entrambi i libri, con diversa intensità, enfatizzano il fatto che l’urbanistica deve essere per la vita, e le considerazioni economiche e sociali sono di primaria importanza. Sul benessere del cittadino e della sua famiglia, poggia tutto il resto: il suo benessere dipende dalla sua capacità di guadagnarsi da vivere e di mantenere la sua famiglia in un ambiente sano e decoroso; questo è il tema di Howard. Sitte sviluppa l’organizzazione della città medievale in quanto organismo sociale-fisico; la sua unità estetica deriva direttamente dalla vita delle persone.

Il primo decennio del XX secolo vede l’inizio dell’urbanistica moderna. Come ha notato il professor Frederick J. Adams, il 1909 è un anno chiave. Fu in quell’anno che si approvò il primo Housing and Town Planning Act britannico; fu in quell’anno che il Commercial Club di Chicago pubblicò il grande piano di Burnham; e fu in quell’anno che si tenne la prima conferenza nazionale sull’Urbanistica a Washington, D.C., alla quale i partecipanti posero forte enfasi sul bisogno di studi economici in urbanistica, e sull’importanza di un approccio comprensivo e coordinato ai problemi urbani.

Nel 1916 il sovraffollamento dei terreni nel centro di New York raggiunse proporzioni così gravi da far approvare la prima legge sullo zoning che regolava l’altezza, il rapporto di copertura, l’uso dei suoli. Il piccolo colpo finale, che spezzò la schiena agli interessi immobiliari, fu l’Equitable Building, la cui dimensione e mole erano un’evidente minaccia per tutti gli edifici nella parte sud di Manhattan, e per l’uso fisico delle strade e dei mezzi di trasporto. Era tipico, che tutti gli sforzi per regolamentare l’uso del suolo e stabilire efficaci controlli fallissero, se mettevano a repentaglio gli interessi commerciali. Nondimeno, si stabilì la validità dello zoning come metodo generale di controllo. Fu il primo passo per dare alle città poteri di pianificazione adeguati.

La prima guerra mondiale vide l’applicazione delle idee inglesi alle città industriali di guerra, sotto la guida di architetti-urbanisti come Electus D. Litchfield, Frederick L. Ackerman, Clarence S. Stein, Henry Wright e altri. Questo lavoro spianò la strada per Radburn, N.J., la prima comunità pianificata riconoscendo pienamente il fatto che l’automobile era una cosa destinata a durare. Così, in una ventina d’anni, l’urbanistica ha compiuto i grandi passi verso la maturità in entrambe le sue branche: il controllo del suolo nelle città esistenti, e la progettazione di comunità interamente nuove.

L’urbanistica oggi

L’urbanistica a metà del XX secolo non si occupa semplicemente degli aspetti fisici. Per quanto importanti essi siano, sono guardati come la conclusione logica di un complesso di fattori. Per dirla in un altro modo, la città fisica tridimensionale è concepita come mezzo per conseguire fini sociali, piuttosto che come fine in se stessa. Dal punto di vista pratico, lo stato economico di una città deve essere incluso nell’urbanistica, visto che la struttura sociale poggia su una base economica. Una città in bancarotta può fare poco per aiutare se stessa; una città nuova, senza base economica, è condannata al fallimento.

Il processo di pianificazione per le città esistenti differisce ampiamente dalla progettazione di città nuove. Le città esistenti devono essere oggetto di miglioramento. L’enfasi sta nel cercare che ogni successivo mutamento nella struttura urbana sia parte di un piano di lungo periodo per il miglioramento generale della comunità nel suo insieme. Le condizioni esistenti sono analizzate ed elencate in una sorta di inventario civico, e si sviluppa un programma che, si spera, possa a tempo debito venir realizzato, almeno in parte. Nel pianificare città nuove l’urbanista è relativamente libero di usare le idee più recenti, e tecniche conformi al programma del committente.

Il problema, nelle città esistenti, mentre varia ampiamente nei dettagli, è generalmente simile nelle categorie. Strade congestionate, slums e degrado, zone commerciali in decadenza, impianti pubblici deteriorati, una forte tendenza al decentramento, e la minaccia di una virtuale bancarotta, sono le questioni principali. Questi mali risultano da una varietà di cause interrelate, la maggior parte delle quali nascono dai cambiamenti tecnologici che hanno avuto luogo da quando le città furono progettate. I principali tra questi cambiamenti, o meglio invenzioni, sono il motore a combustione interna e l’elettronica. Ci sono forti probabilità che le trasformazioni tecnologiche connesse alla fissione atomica si dimostreranno una causa non secondaria di obsolescenza. Il cinema, la radio, la televisione, aggiunti al telefono, hanno liberato la gente dalla necessità di stare in una città per l’istruzione o il divertimento o per mantenere contatti sociali e di lavoro. Forse ugualmente importante è il più alto standard di vita, che ha portato molti a credere che i loro figli possono avere un migliore ambiente fisico di quello offerto dalla città congestionata. Nella grande città la corruzione politica e la banalizzazione della scuola devono essere sopportati. Il suburbio, più piccolo e a misura d’uomo, offre migliori opportunità al singolo di partecipare alla politica locale e al controllo della scuola.

La congestione da traffico e il sovraffollamento dei suoli, ovvero l’eccessiva densità di popolazione, sono sia una causa che un effetto. Non c’è, virtualmente, nessun limite tecnologico al sovraffollamento del terreno. Quando, con un dato schema di capacità limitata, la congestione diviene economicamente intollerabile, inizia una tendenza al decentramento e l’area congestionata inizia a deteriorarsi. Allora si fanno sforzi frenetici per risolvere il problema del traffico. Questi sforzi sono, in genere, senza speranza, perché il problema del traffico non è per niente un problema di traffico, ma di densità, di popolazione. Qualunque vera soluzione è esclusa, a causa dell’enorme investimento in terreni e edifici, a causa dei conseguenti alti valori fondiari, e a causa del fatto che la base fiscale della città dipende proprio dal mantenimento di questi valori, non importa quanto fittizi. Redistribuire industrie e popolazione sembrerebbe una soluzione, e anche questo è in linea con le tendenze storiche del mutamento tecnologico.

Il problema dell’urbanista è di confrontarsi con questi temi meglio che può.

Nel nostro quadro democratico, il pianificatore ha vari metodi di approccio e vari strumenti, che sono stati creati da decisioni legali durante un lungo periodo di tempo.

Il primo ed efficace strumento, come menzionato prima, è lo zoning. Questa autorità si poggia sul potere di polizia da parte dello stato e dipende totalmente dalla discrezionalità delle corti nell’interpretare il concetto di “salute e benessere”. Lo zoning non è ben consolidato, anche se l’ampiezza dei suoi poteri varia da una giurisdizione all’altra. Ampiamente considerato come un attrezzo per mantenere lo status quo nei valori fondiari e negli usi del suolo, recenti tentativi degli urbanisti per dargli un uso più dinamico sembrano guadagnare terreno in molte città.

In qualche modo simile allo zoning, è il controllo di lottizzazione, che è uno strumento per controllare l’assetto dei terreni non suddivisi. L’allineamento delle strade, la fornitura di servizi (come l’acqua, le fognature per acque nere e acque piovane), la dimensione dei lotti, la previsione di posti di parcheggio, e questioni simili, sono controllati per il fatto che ogni lottizzazione deve avere l’approvazione dell’ufficio urbanistica prima che il progetto possa essere accettato.

Sia lo zoning che il controllo di lottizzazione cadono sotto la giurisdizione dell’ufficio urbanistica. Le variazioni di zoning, tuttavia, sono di solito gestite da un ufficio di appello, o aggiustamento, i cui poteri sono limitati alla “variante” o “aggiustamento” nel quadro della legge di zoning. I cambiamenti di legge sono, naturalmente, una cosa che riguarda l’azione legislativa locale, di solito su indicazione dell’ufficio urbanistica.

Sia lo zoning che il controllo di lottizzazione soffrono l’ignoranza della generalità dei funzionari preposti ad amministrarli. Gli uffici di appello per lo zoning sono propensi a cedere alle pressioni locali e spesso vanno oltre i propri poteri istituzionali nel garantire “varianti” che in realtà non sono per niente varianti, ma cambiamenti nella legge, che dovrebbero essere compito solo del corpo legislativo locale. In teoria c’è la possibilità di ricorso in tribunale, per queste azioni illegali, in pratica però il costo dei procedimenti è proibitivo, eccetto nei casi più flagranti di abuso di potere.

La debolezza del controllo di lottizzazione è che non controlla né le quantità né la localizzazione della suddivisione. L’abuso di questo privilegio da parte degli speculatori più irresponsabili ha avuto come risultato letteralmente centinaia di migliaia di lotti gettati sul mercato, rimasti invenduti, e alla fine diventati inadempienze fiscali.

Gli uffici urbanistici, in generale, derivano la propria autorità dal corpo legislativo locale, nel quadro di una legge dello stato che autorizza le municipalità, e talvolta le contee, a creare un tale ufficio. I membri sono nominati, e in genere non sono pagati, eccetto a New York City. Perché siano efficaci, ci deve essere una struttura di personale pagato e competente nel campo della professione urbanistica. Se l’ufficio diviene politicamente confutabile, i fondi sono ritirati e la struttura diventa non operativa. La funzione dell’ufficio è in gran parte consultiva, eccetto nei luoghi dove ha considerevole potere attraverso il controllo di lottizzazione. La principale attività è la preparazione di un piano regolatore generale, o piano comprensivo, che si intende serva come guida allo sviluppo della comunità. In alcuni stati questo piano può essere adottato dall’ufficio dopo udienze pubbliche e, quando adottato, diventare vincolante per il corpo legislativo locale e i settori municipali, che devono comunicare per l’approvazione all’ufficio tutte le proposte di trasformazione. Se l’ufficio non approva, si richiede una maggioranza qualificata (abitualmente tre quarti) del corpo legislativo per scavalcarlo.

Il piano regolatore generale una volta era considerato il principale obiettivo dell’urbanistica. Ora non è più ritenuto tale. Molte città nel passato si dotavano di un piano, e qui la pianificazione finiva. La pratica attuale tende a vedere il piano generale solo come un passo preliminare verso la pianificazione. È un passo altamente necessario, perché dà un quadro del presente e degli obiettivi da raggiungere all’oggi. Ma la pianificazione è un processo dinamico; la città cresce e cambia, e ciascuna azione municipale ha conseguenze di lunga portata. Il vero scopo dell’ufficio urbanistico quindi dovrebbe essere – ed è, nelle comunità dove l’urbanistica è presa sul serio – di servire come un corpo di ricerca per l’esecuzione. La pianificazione “pura”, la pianificazione coerente alla teoria, è una pratica impossibilità, perché ogni decisione attuativa è l’equilibrio di molti fattori politici, opportunità, finanza, pressioni locali. Un coscienzioso corpo legislativo ed esecutivo, nondimeno, può essere grandemente sostenuto nel prendere decisioni, se informato pienamente delle implicazioni a scala urbana, e delle varie alternative.

A causa dei poteri limitati, gli uffici urbanistici devono lavorare in stretto rapporto con i settori municipali e cercare di coinvolgerli negli obiettivi generali di piano come parte dei loro progetti settoriali. Il problema del traffico coinvolge, per esempio, il settore strade, quello di polizia, e molto spesso settori della contea, dello stato, dipartimenti e uffici federali. Questi corpi possono avere, e spesso hanno, idee confliggenti, e i dati generali dell’urbanista possono avere effetti significativi sulle loro decisioni. Ognuno di essi è incline ad affrontare uno specifico problema con pregiudizi professionali, ad escludere qualunque effetto collaterale sulla struttura economica o sociale della città. Gli ingegneri stradali, per esempio, hanno poca conoscenza e nessuna considerazione degli effetti economici o sociali dei loro allineamenti. È affare dell’urbanista prendere in considerazione, per quanto è possibile, tutti gli elementi rilevanti, e presentarli imparzialmente.

Nelle questioni che riguardano l’abitazione e il risanamento dei quartieri degradati, si coinvolgono il dipartimento sanitario e quello per le case popolari, se ce n’è uno. La selezione di aree da risanare e l’incidenza statistica delle malattie, dei reati, della criminalità, sono tutti elementi di importanza per entrambi gli uffici. La densità proposta per i nuovi quartieri popolari, la loro relazione con le arterie di traffico e i trasporti, la fornitura di strutture commerciali, e l’esistenza o non esistenza di scuole e aree per il tempo libero sono di primaria importanza nello schema della città così come ipotizzato dal piano regolatore generale. È per questa ragione, e perché le abitazioni sono il fattore più potente nella realizzazione di un “piano”, che l’approvazione di nuovi quartieri invariabilmente richiede uno stretto collegamento fra l’autorità per le case popolari e i funzionari dell’urbanistica.

Gli uffici scolastici sono di solito corpi autonomi, e di conseguenza gelosi del loro status. La cooperazione fra ufficio scolastico e ufficio urbanistica è quindi altamente desiderabile; le linee guida del piano regolatore relativamente alla crescita di popolazione, la localizzazione di nuove strade e altri cambiamenti nei trasporti, sono particolarmente rilevanti per i programmi di costruzione dell’ufficio scolastico.

Con lo sviluppo degli interventi residenziali su larga scala da parte di istituzioni come le compagnie assicurative, un numero crescente di stati ha adottato leggi che estendono il diritto di esproprio a beneficio di queste imprese. Nella maggior parte di queste leggi, l’ufficio urbanistico ha il potere di modificare localizzazione, densità, e altri elementi dei progetti proposti. Qui, ancora, l’obiettivo è di salvaguardare lo sviluppo della città secondo le linee del piano regolatore generale.

In alcune città, e in particolare a New York City, l’ufficio urbanistico esamina la disponibilità di capitali disponibili. Esattamente a New York la commissione di piano (così si chiama in quella città) prepara un piano di capitali quinquennale e invia il bilancio dell’anno corrente all’ufficio preventivi, che può togliere ma non aggiungere. Questa procedura è rara; in genere gli uffici di piano sono confinati alla revisione e a fare raccomandazioni, oppure al silenzio.

L’efficacia degli uffici di piano è cresciuta a partire dal 1940 sia nell’influenza sui politici, che sono responsabili della gestione delle città, sia nel campo legale. Le decisioni delle corti a favore dello zoning, per i quartieri residenziali, per autorità competenti ai parcheggi, e recentemente dei provvedimenti di riurbanizzazione (che tratteremo poi), hanno dato loro poteri crescenti su una sfera sempre più ampia di questioni.

Sul versante sociale il cosiddetto concetto di “vicinato” è stato uno dei principali sviluppi. Questa idea fu formulata chiaramente per la prima volta da Clarence Perry, ed è basata sulla pianificazione di vicinati dentro insediamenti esistenti, ognuno centrato attorno ad una scuola e con una popolazione grande a sufficienza per giustificarla. Ogni vicinato ha il suo centro commerciale e strutture per il tempo libero, e preferibilmente è un’entità geograficamente separata da altri vicinati da corsi d’acqua, strade importanti, viali o altre barriere. Fa parte del concetto generale, che questi vicinati siano d’aiuto a risolvere il problema della dimensione urbana, ripristinando così, in qualche modo, l’iniziativa dei singoli nelle cose locali, e recuperando il senso di “appartenenza” che accompagna la partecipazione. Le obiezioni a questo concetto, se interpretato troppo letteralmente, sono che la popolazione necessaria a sostenere una scuola è di gran lunga troppo grande per il senso di vicinato propriamente inteso, che l’area di simili distretti è troppo piccola per una pianificazione soddisfacente, che la maggior parte dei distretti scolastici non sono correlati ad entità geografiche e, più importante, che non c’è evidenza che questo tipo di pianificazione realizzi gli obiettivi sociali che ci si immagina.

Di fatto, si può dire che le scienze sociali sinora hanno dato pochi contributi all’urbanista. Ci sono stati studi di certi particolari problemi, su scala limitata, del compianto professor Edward Lee Thorndike, del professor Stuart Chapin, del professor Svend Riemer, e di alcuni altri, ma sono stati rivolti più verso la questione delle abitazioni che verso l’urbanistica. I sociologi dovrebbero sviluppare nuove tecniche per lo studio degli effetti sociali di cose come lo schema fisico delle comunità rispetto alle attitudini sociali, o la relazione fra lavoro e residenza, la carenza di alberi e aree verdi, il generale distacco da senso dei cicli naturali, se le strutture comuni di vicinato alterano o meno lo schema sociale.

C’è la necessità di studi concernenti le cause della crescita urbana e delle aree urbanizzate. Ci sono studi sulla crescita di popolazione del professor John Q. Stewart di Princeton e dello scomparso professor George K. Zipf di Harvard, che tentano di analizzare i fattori demografici sulla base di una massa di dati statistici. Questi studi sono promettenti, ma sono necessari una più ampia ricerca e molta più interpretazione perché essi possano essere di valore per l’urbanista impegnato su specifici problemi, dato che, come tutti i dati aggregati, essi diminuiscono di valore man mano l’applicazione diviene particolare.

Studi nei campi sociale e demografico saranno i benvenuti, perché la crescita di quella che il Dr. Don Bogue ha chiamato la “comunità metropolitana” è un fatto di sempre crescente importanza. L’influenza della città centrale sulla regione circostante è sempre più potente, nonostante il fatto che per molti versi la città centrale si stia disintegrando. Il risultante conflitto fra gli obiettivi di piano non può essere risolto razionalmente finché le forze all’opera non siano state sottoposte ad una analisi assai più ravvicinata, e le loro reali implicazioni siano state portate almeno alla forma di ipotesi di lavoro. Fin quando tale ipotesi non sia stata formulata e verificata, non esiste una base su cui il pianificatore possa decidere se il processo di decentramento debba essere accettato come inevitabile e se la riurbanizzazione, termine che correntemente si usa, abbia o non abbia senso.

È probabile che questa assenza di dati sociali, correlati alla pianificazione fisica, sia la ragione per la mancanza di un consolidato approccio filosofico all’urbanistica in generale, e spiega il fallimento della pianificazione, di questi tempi, nell’essere qualcosa più di una serie di espedienti.

Mancando di qualunque base più vasta di quella del miglioramento, i problemi dell’urbanista possono essere rozzamente elencati nel seguente ordine di importanza:

Traffico e Trasporti – È il problema principale di ogni città. Gli sforzi per misurarsi con esso consistono in allargamenti di strade, separazione del traffico di attraversamento e degli autocarri da quello locale specializzando alcune direttrici, proibizione o limitazione al parcheggio. Più drastiche e recenti misure, sono state di costruire autostrade urbane di attraversamento in modo da evitare intersezioni; acquisizione e gestione da parte della municipalità di spazi a parcheggio; richiesta, tramite lo zoning, ai nuovi generatori di traffico di provvedere a spazi diversi dalla strada per carico/scarico e parcheggio. L’impennata nella produzione di automobili e dei viaggi pro-capite dei possessori di automobili, l’incremento di popolazione, e il mancato riconoscimento della relazione fra traffico e uso del suolo, fanno abortire la maggior parte di questi tentativi. Nelle città molto grandi la mancanza di qualunque correlazione fra luoghi di residenza e luoghi di lavoro è un fattore aggiunto alle difficoltà di trasporto, e l’incremento di pendolarismo sta rapidamente creando problemi virtualmente insolubili di tracciamento delle linee ferroviarie per pendolari.

Risanamenti e case popolari – Gli slums sono considerati un male sia sociale che economico. Le aree di slum e degrado nella maggioranza delle città hanno raggiunto proporzioni che eccedono di molto quelle che la città è in grado di affrontare: da qui l’accettazione dell’intervento pubblico per le case popolari, come passo verso il miglioramento civico. Comunque sia, né le abitazioni pubbliche possono iniziare ad utilizzare tutte le aree che necessitano di risanamento, né le città possono affrontare l’acquisto e la demolizione. È dubbio se si possa fare un uso economicamente intensivo di tutti i terreni che necessitano di riurbanizzazione. Nuovi concetti di densità, tassazione, e schemi urbanistici devono nascere prima che possa essere trovata una risposta a questo problema.

Tasse e disponibilità finanziaria – Le città stanno trovando sempre più difficile la raccolta di fondi sufficienti per i servizi municipali. La domanda per servizi sociali di vario tipo continua ad aumentare, dovuta largamente all’incremento nello standard di vita e al fatto che, man mano la nostra civiltà diviene più altamente tecnologica e specializzata, sempre più cose prima fornite da singoli o famiglie per se stessi non possono più esserlo, e diventano un problema del governo. Accoppiato a questo c’è il declino della base di contribuenti dovuto all’abbandono di persone, attività e industrie della città centrale. È abbastanza evidente che il metodo convenzionale di tassazione dei terreni non può misurarsi con questo problema.

Servizi pubblici – Con questo intendiamo i servizi urbani di base delle fognature di acque nere e piovane, acqua potabile, strade, raccolta dei rifiuti e, in alcune città, gas e elettricità. Il costo di espandere questi servizi è una voce di capitale importanza se correlato all’espansione incontrollata delle città. In molte, anche la manutenzione è un problema serio a causa del logoramento, dei guasti, dell’obsolescenza. In generale, comunque, i servizi idrici di solito forniscono un profitto, come fanno talvolta quelli elettrici e di gas. Il pianificatore quindi si occupa principalmente di controllo dell’espansione, e con lo scopo di assicurare una proporzionata crescita di strade e fogne senza dover attraversare ampie aree prive di popolazione.

Sviluppo industriale – L’adeguata previsione di aree adatte all’espansione industriale è parte importante della pianificazione urbana. Nel passato, l’industria in primo luogo si impadroniva dei fronti sull’acqua, e seguiva le ferrovie. Con i primi provvedimenti di zoning, fu relegata su qualunque area non considerata buona per nient’altro. Come conseguenza dell’uso degli autocarri a motore, dell’energia elettrica e della tecnica a catena di montaggio, l’industria non è più legata alla ferrovia; non è più generatrice di polvere e fumo; e richiede più spazio orizzontale. La riorganizzazione delle aree industriali correlata ai luoghi di residenza, alle principali strade di comunicazione e alla disponibilità di spazi per la crescita degli impianti e i parcheggi, è ora riconosciuta.

Scuole e tempo libero – Il carattere delle scuole sta cambiando rapidamente. La scuola a un piano correttamente orientata rispetto al sole, commisurata alla scala del bambino, e con vasti spazi di gioco all’aperto, sta soppiantando il “monumento” a tre piani con un cortile asfaltato. C’è un uso crescente della scuola per l’istruzione degli adulti e per usi comunitari. Urbanisti e educatori stanno comprendendo l’importanza di acquisire siti vasti molto in anticipo sulla crescita di popolazione, e in questo il pianificatore può consigliare l’ufficio scolastico sulle tendenze e sui piani di generatori di popolazione come nuove autostrade o localizzazioni industriali. Parchi e campi da gioco, solitamente di competenza di un ufficio cittadino separato, sono in qualche modo della stessa categoria e spesso vengono gestiti in cooperazione con le strutture scolastiche.

Aeroporti – La localizzazione degli aeroporti richiede molto studio. Hanno bisogno di grandi estensioni di terreno; le aree libere per le linee di atterraggio e decollo creano problemi di zoning. Deve essere garantito un trasporto rapido verso il centro città, spesso con nuove strade. L’effetto del rumore degli aeroplani sui valori delle proprietà, o i rischi di un incidente, non sono stati ancora determinati ad un grado ragionevole. Sembra probabile, vista la certezza di grandi miglioramenti tecnici negli aeroplani, che qualunque cosa si pianifichi oggi sarà obsoleta nel prossimo futuro. A ben vedere, la maggior parte dei nostri aeroporti sono già obsoleti.

Zoning e controllo di lottizzazione – Questi sono attrezzi che l’urbanista deve continuare a tener affilati, e che i vari gruppi di pressione continuano a smussare. Il suo problema è quello di convincere il pubblico e il consiglio comunale che essi non sono strumenti di repressione, ma di governo della crescita di popolazione e per la distribuzione dei vari, principali usi del suolo, e conseguentemente aiutano il funzionamento economico di tutta la città.

Pubbliche relazioni – L’urbanistica, per essere efficace, non deve solo essere accettata, ma anche compresa e sostenuta dalle persone più influenti della città. Idealmente, i membri dell’ufficio urbanistico stesso, o almeno il presidente, dovrebbero essere coloro che instaurano relazioni col pubblico tramite la stampa e le organizzazioni civiche. Troppo spesso però essi tendono a delegare questo ruolo al direttore o al personale tecnico, il cui mestiere dovrebbe essere l’urbanistica, non l’oratoria.

Riurbanizzazione – Di questo si parlerà più avanti nel saggio.

Città Nuove

Non meno importante per il futuro, è il crescente interesse per ciò che gli Inglesi chiamano il movimento delle “New Towns”. Anche qui, esiste un retroterra storico. Come già accennato, l’espansione degli scambi e le guerre internazionali a metà del XVII secolo vedono la fondazione di un grande numero di nuove comunità, e il rimodellamento di molte altre per la difesa contro le nuove armi dell’epoca. Alcune delle città erano eccezionalmente belle. C’erano libri sulla teoria e la pratica urbanistica, basati su una varietà di concetti, sia estetici che militari, di solito derivati da formule matematiche o geometriche. A causa dei limiti tecnologici, in gran parte nel campo dei trasporti, della logistica, e di altre considerazioni militari, queste città erano contenute per dimensione. Molte esistono ancora, ma nella maggior parte dei casi sono affondate nel pantano dei quartieri industriali, hanno scavalcato i propri limiti, e hanno perso il carattere originale.

Il moderno movimento per le New Towns può dirsi iniziato con la pubblicazione di To-morrow, di Sir Ebenezer Howard. C’erano naturalmente dei predecessori, almeno nella teoria sociale generale. Robert Owen nel primo XIX secolo fu uno di questi predecessori, così come lo furono i fondatori delle varie utopie, come le colonie Fourieriste, la colonia Oneida, e altre. Fu Howard, comunque, che per primo espose integralmente la teoria della città satellite, pianificata per la vita e il lavoro, limitata nelle dimensioni da una inviolabile cintura di verde agricolo, adeguatamente collegata con sistemi di trasporto ad altre città dello stesso genere, e tutte alla città centrale. I tempi erano maturi per una impresa di questo tipo, c’era diffusa repulsione per gli orrori degli slums dell’Inghilterra industriale, contro lo sporco e la fuliggine che pervadeva tutto tranne i quartieri più ricchi. Due città, Letchworth e Welwyn, furono costruite durante il periodo di entusiasmo per le idee di Howard, sotto la direzione tecnica di Louis De Soissons e Sir Raymond Unwin.

Il movimento fu portato negli Stati Uniti da un gruppo di uomini, guidati da Alexander M. Bing, un investitore immobiliare di New York. Il risultato finale fu Radburn, N.J., per cui gli urbanisti e architetti furono Henry Wright e Clarence S. Stein, insieme a Frederick L. Ackerman. Radburn, progettata come un autosufficiente satellite di New York, segnò l’inizio della comprensione pubblica di come una città potesse essere progettata per i modi di vita a trasporto moderni.

C’erano state molte comunità autosufficienti, in maggioranza costruite per o vicino a una grande industria, ma si era omesso di prendere in considerazione l’automobile come il fattore principale da affrontare. Il villaggio di Yorkship, vicino a Camden, N.J., costruito per gli operai dei cantieri navali durante la prima guerra mondiale e progettato da Electus D. Litchfield, era uno dei migliori. Altri erano Longview, nello Stato di Washington; Alcoa, Tennessee; Kingsport, Tennessee; Kohler, Wisconsin; Mariemont, Ohio; e altri, più piccoli, semplici “company towns”.

Radburn, come il suo prototipo inglese, fallì l’obiettivo dei suoi promotori, di diventare una comunità completamente autosostenuta. L’industria tardava ad arrivare, e divenne una città-dormitorio. Le sue caratteristiche urbanistiche, tuttavia, si dimostrarono valide, in particolare il “superblock”, i sistemi stradali a cul-de-sac e la stretta strada di traffico residenziale a “nodo”, gli spazi comuni per il tempo libero e quelli sicuri per i bambini.

Contemporaneamente si stavano sviluppando altre esperienza, in Germania guidate da Ernst May a Francoforte, in Olanda con J.J.P. Oud, Arie Keppler e altri. Le Corbusier (vero nome Charles Jeanneret) stava cominciando in Francia ad elaborare le sue teorie della Ville Radieuse, città di grattacieli ampiamente spaziati, un concetto altamente meccanicistico che doveva avere una grande influenza sul pensiero della generazione più giovane di architetti e urbanisti americani.

La depressione economica dei primi anni ’30 fece fare grandi passi in avanti. L’enfasi sui quartieri pubblici di abitazioni popolari a grande scala introdusse il concetto di “comunità pianificata” non solo presso il pubblico, ma, cosa egualmente importante, presso gli architetti. Mostrava chiaramente cosa c’era di sbagliato nelle nostre città e spazi di vita, e provava che erano possibili altri e miglior modi di organizzarli. La dimostrazione fu nel campo delle New Towns, con la costruzione di tre città con cintura di verde: Greenbelt, Maryland; Greenhills, Ohio, Greendale, Wisconsin. Erano progettate e realizzate dalla Resettlement Administration come parte del programma del New Deal. Queste tre città portavano l’idea di Howard molto più in là di quanto era stato possibile fare a Radburn, e tecnicamente continuavano e sviluppavano ulteriormente la “idea di Radburn”.

La seconda guerra mondiale portò le tecniche della nuova urbanistica nei numerosi interventi e città connessi alla difesa, molti di natura temporanea, in tutta la nazione. Anche se attraverso tipi di edifici temporanei, furono utilizzati i principi urbanistici necessari alla buona circolazione, sicurezza, relazioni sociali, e anche soddisfazione estetica. Si imparò molto.

Ora, a metà del XX secolo, il problema è il conflitto fra il bisogno di modernizzare le nostre città esistenti, e quello di controllare la dispersione disorganizzata che è il risultato sia della spinta verso l’esterno della città, sia della grande crescita delle aree metropolitane per migrazione dalle campagne. Se la soluzione ideale, probabilmente, sarebbe una serie di autocontenute, correlate, bene organizzate città satellite o “New Towns”, ciò sembra improbabile da realizzare. Sono stati suggeriti altri tipi di riorganizzazione, ma finché esiste terreno a buon mercato da sfruttare, qualunque sforzo concertato di organizzare e controllare lo sviluppo si dimostrerà vano. Questo non per minimizzare l’entità del problema; la dispersione urbana molto probabilmente sarà considerata, nel futuro, come il nostro peggior crimine, nello spreco delle risorse naturali urbane e regionali.

Riurbanizzazione

Mentre permettiamo che le nostre aree suburbane diventino gli slums di domani, ci sforziamo per trovare qualche modo di risistemare gli slums e il degrado lasciato dai nostri predecessori. Le porzioni centrali della maggior parte delle città iniziarono a deteriorarsi anche prima dell’avvento dell’automobile, quando il trasporto di massa elettrificato rese accessibili le aree limitrofe. L’automobile accelerò il processo e, mentre il tempo passava e il numero di automobili aumentava, il problema della congestione da traffico e del parcheggio portava nuovo degrado. Commercianti intraprendenti compresero che il centro commerciale esterno, costruito per le automobili come Radburn, poteva portare profitti. L’incredibile successo di questi centri, piccoli e grandi, iniziò ad avere il suoi effetti sugli affari del centro città. Anche l’industria, confinata nei settori più indesiderabili della città, impossibilitata ad espandersi, il flusso di materie prime rallentato dal traffico, comprese che le zone esterne erano spazi più soddisfacenti di localizzazione. Gli effetti di questi vari movimenti erano interattivi e cumulativi. Le città furono lasciate con aree edificate ma obsolete, dentro cui nessuno avrebbe investito denaro perché nessun singolo investimento poteva invertire la tendenza. Non solo c’erano valutazioni dei terreni molto alte – paradossalmente spesso le aree più malamente degradate erano quelle più valutate – ma la molteplicità dei piccoli proprietari rendeva l’acquisizione di ampi lotti una virtuale impossibilità.

Era ovvio che avrebbero dovuto essere elaborati incentivi per attrarre investimenti di capitale. Le grandi compagnie di assicurazione, desiderose di investire grandi somme con rischio minimo, furono le prime a sviluppare un possibile metodo di azione. Il successo del programma di abitazioni popolari a dividendo limitato di New York indicò la via. Le prime leggi sulle imprese di riurbanizzazione furono emanate per permettere di realizzare i grandi progetti residenziali a dividendo limitato con il denaro delle compagnie di assicurazione. Le leggi davano anche diritto di esproprio, esenzione fiscale per le opere di miglioria, possibilità di concordare con il municipio la chiusura di strade. In cambio, gli affitti erano contenuti.

Presto leggi di riurbanizzazione vennero approvate in altri stati, più ampie negli obiettivi di quella di New York. Alla fine, dopo due anni di dibattito, il Congresso approvò l’Housing Act del 1949. Il Titolo I di questa legge tratta la riurbanizzazione a scala nazionale. Si prevede un fondo da cui possono essere ottenuti prestiti e sussidi da parte delle città per l’acquisto di terreni, demolizione di vecchie strutture, rilottizzazione e vendita o affitto per gli scopi previsti. Il terreno può essere venduto per il suo “valore d’uso”, e due terzi di qualunque perdita sono coperti dal governo, il rimanente terzo sostenuto dalla municipalità. Lo scopo dichiarato è la demolizione e riurbanizzazione degli slums e aree degradate, ma ci sono possibilità anche per prestiti, ma non sussidi, per nuove realizzazioni su terreni non urbanizzati. L’obiettivo era duplice: principalmente di provvedere fondi per costruire i necessari e richiesti alloggi per le famiglie private delle loro abitazioni, e in parte fungere da leva per aprire la possibilità alla creazione di nuove città. La legge chiede: (1) creazione da parte dello stato di agenzie locali di riurbanizzazione, o assunzione del carico da parte del corpo legislativo locale; (2) conformità a un piano generale approvato ufficialmente per lo sviluppo futuro della città; (3) responsabilità dell’impresa privata di portare a termine la riurbanizzazione. I poteri federali sono conferiti ad una speciale di visione della Housing and Home Finance Agency. L’intento della legge è che tutta la promozione ed esecuzione siano a livello locale.

Le opportunità aperte da questa legislazione sono enormi. Resta da vedere quanto sarà fatto, e quanto bene. Ci sono alcune evidenti difficoltà, di cui le principali sono se l’incentivo all’impresa privata si dimostrerà sufficiente, se il mercato dei terreni possa assorbire la nuova offerta a livelli economici, se le municipalità potranno coprire anche solo un terzo della spesa. Queste, naturalmente, sono questioni economiche; per l’urbanista la difficoltà sarà se ripianificare secondo le linee che richiedono l’era dell’automobile e dell’elettronica per vivere e lavorare adeguatamente, oppure se sarà obbligato alla ripetizione di schemi ad alta densità, che saranno già obsoleti prima che i lavori abbiano inizio, dalle direttive di un consunto sistema di pratiche immobiliari speculative, e di una struttura fiscale antiquata.

Il successo o fallimento finale della riurbanizzazione sarà il banco di prova delle moderne tecniche urbanistiche. A Philadelphia sembra esserci una forte e convinta tendenza a farcela. Per un periodo di diversi anni, vari settori municipali e il pubblico in generale sono stati convinti della necessità di azione. Gruppi di cittadini in varie zone degradate sono stati incoraggiati a impegnarsi nel determinare il futuro del proprio quartiere. Sono stati condotti dettagliati e validi studi sulle condizioni sociali e commerciali. A Chicago sembra avere successo un altro metodo. In quella città il Micheal Reese Hospital, un tempo favorevolmente localizzato nel South Side, si trovò isolato in una vasta zona di slum e degrado. Invece di spostarsi, cercò di essere più utile tentando di riqualificare l’ambiente. Organizzò un gruppo urbanistico allo scopo, usando il proprio programma di espansione come punto di partenza. Ora, insieme ai programmi di espansione dell’Illinois Institute of Technology e della Chicago Housing Authority, è iniziato un piano esteso e comprensivo per la ricostruzione di un vasto segmento del South Side.

San Francisco, Los Angeles, Detroit, Indianapolis, Providence e molte altre piccole città hanno intrapreso programmi di ripianificazione. Solo New York City, fra le grandi, ha fatto poco eccetto effettuare varianti di routine allo zoning. Comunque, nel 1950 era stato quasi completato uno studio comprensivo inteso a rifare completamente lo zoning, e inaugurando un’era di maggior attività pubblica. I problemi di New York City sono, naturalmente, più complessi di quelli delle altre città; d’altra parte la sua commissione di paino ha maggiori poteri di quelle delle altre città e, se possono essere superati le difficoltà politiche, l’inerzia pubblica e l’opposizione di potenti interessi, ci si possono aspettare grandi cose dalla ricostruzione continua della metropoli.

Progressi professionali

Questi anni di crescita dell’urbanistica hanno visto l’emergere di una nuova professione, quella dell’urbanista. I primi pianificatori moderni erano generalmente reclutati dalle professioni dell’architettura, dell’arte del paesaggio, o dell’ingegneria civile. La crescente complessità del lavoro ha dimostrato il bisogno di una specifica formazione. Si richiede una conoscenza da numerose discipline: architettura, ingegneria, sociologia, economia, diritto, pubblica amministrazione e pubbliche relazioni. L’urbanista non è, e non può essere, competente in tutti questi campi; è necessario, comunque, che abbia conoscenza dei loro contenuti generali, delle loro specifiche applicazioni all’urbanistica, e della loro correlazione reciproca per quanto riguarda le questioni civiche. Ci sono ora corsi che conferiscono un titolo in urbanistica in molte delle principali università. Si tratta abitualmente di corsi di specializzazione; la tendenza recente è di ammettere laureati in una delle discipline correlate, invece di richiedere, come avveniva prima, che lo studente avesse un titolo in architettura o ingegneria.

Anche le organizzazioni legate all’urbanistica si sono moltiplicate. L’American Institute of Planners è la principale organizzazione professionale e pubblica un’ottima rivista. Gli amministratori e professionisti sono rappresentati insieme dalla American Society of Planning Officials, una influente organizzazione che fornisce servizi informativi e di ricerca; ci sono molte organizzazioni di tecnici locali o regionali. In più ci sono organizzazioni locali di gruppi di cittadini interessati, in quasi ogni grande città. Questi gruppi svolgono servizi di pubbliche relazioni, agiscono come validi comitati e gruppi di pressione,e spesso avviano studi su specifici problemi. Il crescente interesse per la pianificazione regionale delle aree metropolitane si manifesta con il crescente numero di organi ufficiali e semiufficiali che si organizzano per affrontare questi problemi inter-comunitari. La più antica e meglio conosciuta è la Regional Plan Association di New York, un’organizzazione privata responsabile del primo piano veramente comprensivo per New York City e il circondario, e che continua a sviluppare la cooperazione fra le varie comunità nella regione metropolitana.

Consuntivo

Dunque l’urbanistica oggi non è come quella del passato. Si occupa di ampi obiettivi in molti campi, non solo dell’aspetto fisico. Forse il pendolo è oscillato troppo in là, e la trascuratezza del presente per il lato estetico dell’urbanistica potrà dimostrarsi dannosa, in futuro. L’orgoglio civico è un fattore importante nella psicologia di qualunque comunità, e l’orgoglio civico si evidenzia nella qualità tridimensionale della città fisica. È in questo campo che l’architetto deve recuperare quello che, al pianificatore specializzato di oggi, sembra essere un grado sproporzionato di controllo del processo di piano, particolarmente nella fase di esecuzione. Per la maggior parte, comunque, la pianificazione è lavoro di coordinamento e guida anziché di esecuzione o amministrazione. Nella nostra società democratica questa lascia spesso l’urbanista frustrato, perché non esiste un modo diretto di conseguire grandiosi obiettivi, nel modo in cui il Barone Haussmann li raggiungeva a Parigi, o il Papa Sisto V e Mussolini a Roma. Il progresso si fa lentamente. Si è guadagnata velocità, nondimeno, e l’Housing Act del 1949 indica la strada per ulteriori azioni. Si accelererà ancora se peggiorerà lo stato delle città e diventerà imperativa la necessità di riurbanizzare. Gli obiettivi dovranno essere chiariti, e questo è uno dei compiti principali della nuova professione. Deve essere incoraggiata l’accettazione pubblica e privata del controllo. Devono prendere piede nuovi strumenti legali, e una riorganizzazione economica. Il risultato dovrebbe essere quello di avere sia le città esistenti ricostruite secondo nuovi schemi, sia nuove città invece della dispersione suburbana. La base finanziaria dovrebbe essere la difficoltà minore, visto che ricostruiamo gli Stati Uniti continuamente. È una questione, principalmente, di progettare per il bene comune invece di consentire una crescita casuale per il beneficio temporaneo di pochi. Una tale azione deve venire dal popolo; non può essere imposta dall’alto. L’urbanistica oggi è, quindi, parte integrante del processo democratico.

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