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Fabrizio Bottini
Steve Jobs Urbanista
8 Ottobre 2011
Poteri forti
Nel dilagare in tutta la comunicazione cartacea e digitale delle elegie in celebrazione del culto dell'innovatore indiscutibile, riprendiamo da Mall (16 giugno 2011) un testo che oggi è fuori dal coro

Presentando al consiglio comunale di Cupertino il suo progetto per una nuova sede centrale dell’azienda, il patron di Apple conferma che non sempre all’avanguardia tecnologica corrisponde l’avanguardia in senso lato. Del resto ce lo dicevano già i cartoni dei Pronipoti

Come sanno gli appassionati di fantascienza, fra i mille rivoli in cui si frammenta questo ramo della letteratura contemporanea se ne possono di sicuro individuare due famiglie omogenee, che secondo la cosiddetta legge di Sturgeon si spartiscono la torta nella quota l’una di circa il 10% (la produzione che vale qualcosa), l’altra del 90% (paccottiglia allo stato puro, quando va bene). In sostanza, una piccola parte della narrativa futuristica si pone davvero problemi rilevanti, vuoi di ordine scientifico che sociale, o ambientale ecc., e li sviluppa in modo complesso e articolato cercando di farci riflettere anche sullo stato attuale delle cose. La stragrande maggioranza di ciò che compriamo in edicola, in libreria, o guardiamo al cinema e in televisione, è solo un modo come un altro per rifilarci cose già sentite e banali, travestendole più o meno elegantemente con orpelli insoliti, dai viaggi dentro le astronavi, alla vita dentro a enormi labirinti sotterranei o nelle profondità dell’oceano. Ma come capisce chiunque non basta sostituire al cappello a larga tesa e al cavallo una tuta spaziale e la velocità della luce, per passare davvero dall’avventura western a qualcosa di diverso.

Ce l’hanno insegnato sin da bambini i cartoni dei Jetsons (i Pronipoti) che si può condurre una vita del tutto noiosa e senza particolari sorprese, anche se si abita su una stazione spaziale circondata dalle stelle invece che in una villetta con giardino. Si va con mamma e papà al supermercato il sabato, salvo che i carrelli magari fluttuano in aria e le scatolette hanno forme un po’ strane. Suona il campanello della stazione spaziale, e compare il rompiscatole Sprizzi Sprazzi a cercare di venderci un aspirapolvere atomico, e via di questo passo. Ho provato una sensazione del genere dopo aver visto il breve filmato in cui Steve Jobs, con la solita buona capacità comunicativa, raccontava al consiglio comunale di Cupertino la propria “offerta che non si può rifiutare” in materia di nuova sede degli uffici Apple. Gli argomenti preliminari sono, come si può immaginare, del tutto ovvi: l’azienda cresce “come un’erbaccia infestante” e ormai si è infilata un po’ dappertutto in città, dentro a sedi proprie o meno proprie, moderne e meno moderne. Oggi scoppia, e Jobs premette il classico “vorremmo rimanere qui, dove siamo nati e cresciuti”. Figurarsi cosa ne penserebbero i nostri eroici consiglieri comunali, di veder andar via il fiore all’occhiello tecnologico e occupazionale di tutta la Silicon Valley …

La Apple è qualcosa di molto più che non un gigante dell’high-tech: è un vero e proprio simbolo di post-modernità, tutti i suoi prodotti e anche l’immagine dell’impresa (come ben sa Jobs) contribuiscono a dare il segno alla nostra epoca. Siamo in California, anzi nel cuore socioeconomico e culturale della California, dove si dovrebbero intrecciare al meglio tutte le potenzialità, ad esempio nel rapporto fra ambiente, territorio e attività umane. L’ex Governatore Arnold Schwarzenegger, anche mettendosi contro una parte del suo elettorato Repubblicano, un paio d’anni fa ha varato la cosiddetta SB 375, una legge che sostanzialmente impone di iniziare ad allontanarsi dal modello classico dell’american dream, ovvero un mondo fatto di villette, centri commerciali, autostrade, e centinaia di litri di benzina bruciati e scaricati nell’atmosfera per fare qualunque cosa. Uno dei capisaldi di questo mondo da cui ci si dovrebbe gradualmente allontanare, è il parco per uffici, ovvero la grande concentrazione extraurbana delle sedi di imprese, raggiungibile solo in auto, immersa nel verde, lontanissima dalle abitazioni e da tutto il resto. Apple è impresa virtuale per antonomasia, e invece cosa fa Steve Jobs?

Davanti al consiglio comunale di Cupertino, Jobs racconta la sua storia di adolescente che trova il primo lavoro, tanti anni fa, alla Hewlett Packard, nella stessa città. Oggi quel campus è dismesso, perché l’azienda si è ristretta, e la Apple si è comprata tutti i settanta ettari del terreno … per farci un nuovo office park! Seguono descrizioni dettagliate del concept plan già abbozzato dallo studio dell’archistar Norman Foster, una specie di enorme salvagente di cristallo, che come scherza lo stesso Jobs assomiglia parecchio a un’astronave. Tutto molto ambientalista e tecnologico, massimo risparmio energetico, gestione integrata di luce, acqua, rifiuti, bonifica e ripiantumazione massiccia dei terreni, niente da dire sotto questo profilo. Siamo davvero su un altro pianeta rispetto ai classici general headquarter suburbani delle grandi imprese, di solito costruiti in una logica anni ’60, e che in caso di riuso pongono enormi problemi. Ma rispunta quella vaga sensazione di trovarsi di fronte a un cartone animato dei Pronipoti: tanti spunti avveniristici, stimoli, divertimenti, ma alla fin fine non si esce dal modello che già conoscevamo, ovvero la grande sede suburbana di un’impresa, dove tutti arriveranno “da fuori” nel migliore stile del pendolarismo novecentesco, pur immersi nel verde fino al collo, ma senza alcuna integrazione urbana e sociale.


Le teorie di Richard Florida sulla cosiddetta creative class hanno molti aspetti discutibili, specie quando si osserva nella pratica il tipo di riqualificazione urbana che inducono, con espulsione dei ceti a redditi medio-bassi e relative attività commerciali e di servizio. Questo piallare verso l’esclusività interi quartieri si accompagna però a un percorso parallelo virtuoso: un vero mixed-use spaziale, dove ad esempio le potenzialità delle tecnologie sono sfruttate al massimo per lavorare da casa, dal bar, per spostarsi a piedi, in bicicletta, coi mezzi pubblici, e solo quando davvero serve o se ne ha il desiderio. Ciò consente insediamenti densi, che offrono molti servizi, in una parola centri urbani in senso proprio, del tipo che abbatte le emissioni e che è raccomandato dalla SB375 di Schwarzenegger, contro la crisi energetica e il cambiamento climatico. Invece con il campus a forma di astronave dei Pronipoti voluto da Steve Jobs nell’ex parco per uffici della Hewlett Packard si riproduce un modello di azienda suburbana concentrata classica, nonostante tutte le eccellenze ambientali.


E pensare che tante imprese, come hanno rilevato da anni gli studiosi, spinte anche dalla voglia di ritrovare bacini di manodopera qualificati e concentrati, si stanno ricollocando al centro delle regioni metropolitane, in posti densi, abitati, con tante funzioni composite. I problemi della mobilità, della eventuale dispersione fra sedi diverse, della non costante prossimità fisica nel medesimo edificio, sono cose ormai rese obsolete dalle possibilità delle comunicazioni: per un lavoro qualificato appare assai più importante avere stimoli dall’esterno che trovarsi TUTTI dentro la massiccia sede centrale della multinazionale. E invece, sotto sotto, lo stratega della Apple sembra rifiutare ciò che del futuro non gli piace: lui l’american dream lo preferisce classico, con la partenza dell’automobile dal bianco steccato tutte le mattine, e l’arrivo davanti al modernissimo ufficio una mezzoretta dopo. Che importa se nel frattempo abbiamo riscaldato l’atmosfera coi nostri scarichi, ,quello è un problema secondario, che risolveremo sicuramente con un nuovo modello di iPhone, o tavoletta multi-tutto. Insomma onore al merito, ma come dicono da secoli, diffidiamo dei profeti, anche di quelli che in qualche modo ci azzeccano.

POSCRITTO: oggi 7 ottobre 2011 alcuni osservatori americani commentano, ricordando la presentazione di Jobs al consiglio comunale di Cupertino, che probabilmente la nuova futuristica sede della Apple è da interpretare come grande opera lasciata ai posteri dal visionario imprenditore. Il che non sposta di un millimetro il giudizio, sia mio che di altri, a proposito del modello obsoleto suburbano di riferimento del progetto Jobs/Foster; nella versione dell'articolo su Mall. un paio di links in più (filmato, immagini del progetto, commenti ...)

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