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Carla Ravaioli
No alla guerra, per cominciare a ripensare il mondo
3 Gennaio 2012
Carla Ravaioli
Domandare “Che ne pensi della guerra” a uno qualsiasi dei giovani attivi…

Domandare “Che ne pensi della guerra” a uno qualsiasi dei giovani attivi per la vittoria dei referendum, il riconoscimento dei “beni comuni”, il diritto allo studio, il prevalere di “No Tav”, o che altro, probabilmente comporterebbe una reazione tra stupita e scarsamente interessata: di chi ritiene la condanna della guerra una scontata ovvietà.

E però questo accade in un mondo in cui le guerre, piccole e grosse, sempre più sono la normalità: praticate a tutte le latitudini, per le ragioni più diverse, di fatto accettate come uno strumento inevitabile, addirittura “normale” dei rapporti tra nazioni, popoli, gruppi; politica condotta con altri mezzi, come da tempo ci è stato spiegato, cui tutti, di fatto senza eccezione, si adeguano. Lontanissime oggi e – si direbbe – ormai impensabili, quelle gigantesche manifestazioni pacifiste prodottesi praticamente in tutto il mondo sul finire del secolo scorso, delle quali il New York Times ha parlato come della “seconda potenza mondiale”.

In questa situazione è di particolare interesse l’appello per il taglio delle spese militari (di cui anche Liberaziones’è occupata con una impegnata intervista a firma di Giorgio Ferri) lanciato da Alex Zanotelli, combattivo Padre comboniano, direttore di Nigrizia. L’interesse riguarda non pochi aspetti dell’impianto complessivo del testo, d’altronde per più d’una ragione difficilmente destinato a trovare ascolto sia nel mondo politico cui esplicitamente si rivolge, sia in quello imprenditoriale indirettamente chiamato in causa; ma comunque forse capace di sollecitare riflessioni oggi assenti dal discorso politico, non soltanto italiano.

“La corsa alle armi è insostenibile, oltre ad essere un investimento in morte”, afferma Zanotelli. E, al di là della appassionata condanna della guerra in quanto tale, in qualche misura scontata da parte di un religioso (che non manca di deplorare il silenzio osservato in proposito da gran parte delle gerarchie ecclesiastiche e della Chiesa militante), mostra una precisa e dettagliata conoscenza dei conti pubblici del nostro paese, e insieme la capacità di individuare e deplorare la scarsità di logica e di civica consapevolezza che presiede alla distribuzione delle nostre sempre inadeguate risorse disponibili: 27 miliardi di euro dell’ultimo Bilancio Difesa , cui si aggiungeranno nell’immediato futuro altri 17 miliardi per l’acquisto di 131 cacciabombardieri F 35 ; mentre per la partecipazione alla “missione“ in Libia si prevede all’incirca una spesa di 700 milioni di euro, da sommarsi a quelle per l’impegno in Afganistan, ecc. “Se avessimo un orologio tarato su questi calcoli, vedremmo che in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, 3 milioni all’ora, 76 milioni al giorno”.

Ma ciò che più scandalizza Zanotelli è che alla spesa di 27 miliardi di euro in armi, corrisponda il taglio di 8 miliardi destinati alla scuola e ai servizi sociali… “Vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul parlamento per ottenere commesse. (…) Quanto lucrano con queste guerre aziende come la Fin-Meccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto-Melara, l’Alenia Aeronautica (…) E quanto lucrano le banche in tutto ciò, e quanto va in tangenti ai partiti…”

“Potremmo recuperare buona parte dei soldi per la manovra semplicemente tagliando le spese militari,” è la conclusione di Zanotelli. Che molti certo giudicano ingenua e semplicistica, ma che forse invece potrebbe prospettarsi come una ipotesi almeno temporaneamente risolutiva. E forse anche potrebbe sollecitare l’attenzione dei tanti giovani e meno giovani in vario modo impegnati ad allargare la loro riflessione sulla guerra; e - al di là della concreta distruttività della sua funzione specifica - scoprirne la presenza e il senso di categoria portante, mentale e comportamentale, decisiva di ogni scelta di vita, sociale e privata, in ogni momento della nostra società, nel lavoro come nei rapporti personali. Per arrivare forse anche alla scoperta di come la guerra non sia un problema privo di nessi (non solo di natura psicologica e di generica distruttività) con la crisi ambientale, ma al contrario in essa oggi giochi un ruolo decisivo. (Proprio a queste problematiche qualche anno fa ho dedicato un libro Ambiente e pace – una sola rivoluzione, Milano 2008).

Chiunque abbia percorso un territorio attraversato dalla guerra (edifici ridotti a macerie senza identità, celebri monumenti azzerati in cumuli di materiali illeggibili, strade non più rintracciabili nel loro percorso, fiumi esondati dagli argini distrutti, ogni verde cancellato in campagne senza più alberi né culture…) sa che cosa significhi il passaggio della guerra su un qualsiasi territorio; e parlo riferendomi ai miei personali ricordi, cioè di una guerra nemmeno paragonabile alla capacità distruttiva degli armamenti moderni… Oggi d’altronde non si tratta più solo di devastazione di luoghi percorsi dalla guerra. Oggi è la produzione medesima degli armamenti più moderni (atomici in particolare) a causare squilibri e inquinamenti micidiali per ampi spazi prossimi alle fabbriche. Che cosa possa significare il loro uso, nessuno per ora fortunatamente lo sa: assurda produzione di una deterrenza, il cui utilizzo è internazionalmente vietato. Ma forse qualche economista potrebbe obiettare che anche questo dopotutto significa tanto buon Pil, a sostenere la crescita…

E qua ancora una volta, inevitabilmente, ci si imbatte nell’assurdo obiettivo (cui più volte mi sono richiamata anche su questo giornale) di una crescita senza limiti, inseguita in un pianeta che ha dimensioni e disponibilità non dilatabili a richiesta: incapace pertanto sia di alimentare una produzione in crescita esponenziale, sia di neutralizzare i rifiuti, liquidi solidi gassosi, che ne derivano. Come il terrificante deterioramento degli ecosistemi dimostra.

In realtà, si tratta di ripensare il mondo… Impresa di cui solo una situazione limite potrà forse tentare l’azzardo. Ma ne siamo poi tanto lontani?

Questo articolo è stato inviato contemporaneamente al quotidiano Liberazione

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