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Penati e lo "sviluppo del territorio"
31 Agosto 2011
Padania
Nelle parole di due oppositori lombardi storici dell’esponente Pd indagato per tangenti, la spiegazione di anni di altrimenti inspiegabili scelte. Il manifesto, 31 agosto 2011, con postilla, (f.b.)

Morale e politica, questioni non separate

di Luciano Muhlbauer

«Nessuno aveva nulla da obiettare sui privilegi dei nobili di Francia, fin quando essi assicuravano un governo alla nazione». Forse quelle parole di Voltaire non dicono tutto,ma indubbiamente illuminano il nocciolo della questione. Cioè, ieri come oggi, questione morale e questione politica sono inscindibili. Anzi, il dilagare dell’immoralità pubblica è direttamente proporzionale all’intensità della crisi politica. Ecco perché non ha senso discutere della questione morale come se fosse una cosa separata. Sarebbe soltanto un esercizio di ipocrisia e di autoassoluzione.

Vale in generale e vale anche per il caso Penati, comunque vada a finire la sua vicenda giudiziaria. Già, perché quei «dimettiti» e «rinuncia a» sparati ormai a raffica all’indirizzo di Penati, dopo la reticenza iniziale, non convincono. In fondo Filippo Penati non è proprio una meteora. È stato sindaco, segretario provinciale, presidente della Provincia, coordinatore della segreteria nazionale, candidato alla presidenza regionale e vicepresidente del consiglio regionale.

Ma soprattutto è stato l’ispiratore, il simbolo e il capofila di quel Pd del Nord che postulava la risalita della china in terra nemica mediante un’operazione culturale che portasse i democratici ad assomigliare sempre di più all’avversario e ad integrarsi sempre maggiormente nel sistema di potere esistente.

Ed ecco, dunque, il Penati che parlava come la Lega e De Corato, coltivava rapporti ravvicinati con Cl e annessi, emetteva scomuniche contro la cultura del ’68 e, ovviamente, definì una politica delle alleanze incentrata sulla rincorsa del centro e sulla rottura a sinistra. Molto difficile, dunque, sostenere che il caso Penati riguardi soltanto Penati. Beninteso, il punto non è processare il Pd, come vorrebbe la destra. Infatti, anche nel periodo di massima forza del penatismo vi fu chi dentro il Pd dissentì e si oppose, così come fuori dal Pd vi fu chi non si oppose e, anzi, condivise. No, il punto è un altro ed è tutto politico. Cioè, occorre finirla con quella tragica rimozione della politica, perché a disintegrare ogni presunta «diversità» e a costruire il brodo di coltura dell’affarismo fu proprio la concezione penatiana della politica.

E, peraltro, senza nemmeno realizzare l’obiettivo che doveva giustificarla, cioè la risalita della china. Anzi, il penatismo è stato foriero di sconfitte e arretramenti.

L’esempio forse più lampante sono le elezioni regionali del 2010. Penati non ha solo ha rotto il fronte dell’opposizione a Formigoni, estromettendo Rifondazione senza peraltro arruolare l’Udc, ma soprattutto ha realizzato un risultato assolutamente negativo, collocandosi ben 10 punti sotto quello del compianto Riccardo Sarfatti del 2005. Soltanto un anno più tardi Giuliano Pisapia avrebbe vinto le elezioni a Milano, con una politica che era l’esatto opposto di quella di Penati. Anche per questo risultano più che stucchevoli i tentativi di coinvolgere Pisapia, specie se provengono da esponenti dello stesso centrosinistra.

Sarebbe un errore straordinario se il Pd insistesse nella rimozione della questione politica, illudendosi di salvare il salvabile. È vero il contrario, basta guardarsi attorno. La primavera dei sindaci e dei referendum sembra già lontana, le due manovre finanziarie hanno un segno classista esplicito e il governo sembra redivivo e capace di sopravvivere a questo autunno, mentre l’opposizione parlamentare si azzuffa addirittura sullo sciopero generale. Insomma, o il Pd trova la lungimiranza di cogliere l’occasione per un rinnovamento politico serio oppure il prezzo lo pagheremo tutti, con altri Penati e nuove sconfitte.

«Bersani rompa il sistema delle spartizioni al Nord»

Intervista a Marco Cappato, di Daniela Preziosi

Le espulsioni sono «roba buona per i partiti stalinisti, fascisti, dipietristi e leghisti», anziché pensare «a nuove purghe» il Pd dovrebbe «rompere con la politica di complicità con il potere formigoniano e di Comunione e lottizzazione». Marco Cappato, consigliere comunale radicale, a Milano è inmaggioranza con il Pd ma ricorda che alle regionali in cui Penati era candidato del centrosinistra, i radicali non lo votarono: «Perché, lo abbiamo detto, non era alternativo al sistema di potere trasversale che c’è in Lombardia e nel Nord».

Faccia qualche esempio.

Da anni i grandi appalti delle infrastrutture, della sanità e dei trasporti sono esclusiva di reti trasversali di affari della galassia di Cl e della Compagnia delle opere insieme alle cooperative rosse. Il presidente della Regione Formigoni è l’elemento forte. E il Pd, con Penati, si limita a occuparne la quota di minoranza. Non parlo di reati, parlo di una spartizione politica. Penati doveva essere il capo dell’opposizione alla Regione, e invece ha accettato di diventare vicepresidente del consiglio della Lombardia.

Altro esempio: ci sono mille persone che hanno dichiarato alla Procura che le firme sulla candidatura di Formigoni sono false? È un potenziale attentato alla democrazia, ma il Pd non fa niente, se non per una cosa meno grave sotto il profilo democratico chiedere le dimissioni della Minetti. Sulla vicenda del limite dei due mandati di Formigoni, Penati ha aderito in anticipo alla tesi di Formigoni.

Il democratico Errani è nella stessa condizione.

Appunto. In Lombardia il Pd ha chiuso un occhio sulla ineleggibilità del consigliere Pdl Pozzi, che ha sottoscritto dimissioni tardive da aziende controllate dalla Regione, perché ne ha uno proprio, Costanzo, nelle stesse condizioni.

L’allontanamento di Penati dal Pd non basta?

No, né basta rottamare un pezzo di classe dirigente, o fare le scarpe allo stesso Bersani, se non cambia la politica. Ora nel Nord c’è un sistema di spartizione in cui le cooperative rosse sono forti in Emilia, quelle bianche e quelle verdi nel Veneto, quelle bianche di Cl in Lombardia. Se il Pd non cambia questo, e non si batte per regole di trasparenza, non cambia niente.

L’assessore comunale Maran, indicato come uomo di Penati, si deve dimettere?

No. Gli arrivano accuse indirette e fumose. Dimostri di essere fuori da questo sistema. Pensi subito per esempio a realizzare la volontà popolare espressa nei cinque referendum ambientali.

postilla

per chi segue questo sito, forse è abbastanza “consolante” leggere le condivisibili interpretazioni politiche (se vogliamo usare questa parola a dire il vero un po’ impropria) di un caso di cui la cronaca si occupa esclusivamente coi soliti toni un po’ giustizialisti e sbrigativi. Consolante perché emerge chiara, addirittura lampante, la spiegazione di anni, anni e anni di scelte territoriali. Strascico pesante di una cultura industrialista dura a morire? Certo, sicuro, ma poi? Il meccanismo da manuale, quasi caricaturale a dire il vero, con cui da un lato si delineavano scenari di sviluppo anni ’60 a colpi di strade capannoni e centri commerciali, dall’altro si cooptavano direttamente o indirettamente pezzi e diramazioni del mondo che in teoria avrebbe dovuto far muro contro queste ipotesi, adesso un po’ si illumina. E lascia esterrefatti soprattutto scoprire (per i non addetti ai lavori, se si consente, è una scoperta) quanto ramificato e solido fosse, il patto d’acciaio. C’è da sperare proprio che la magistratura possa procedere, ma soprattutto che emerga chiaro quanto e come lo sfascio ambientale e lo spreco di risorse e ricchezza, questioni legali a parte, derivi dal pneumatico vuoto culturale di una classe dirigente e dei suoi tirapiedi e tuttologi a gettone. Che naturalmente ritroveremo presto a pontificare sotto altre insegne. Per alcuni aspetti di questa patologia bi-partisan da Sesto all'eternità, si veda anche il recente commento di Sergio Brenna (f.b.)

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