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Verso un altro Veneto
8 Agosto 2011
Veneto
Decine di migliaia di cittadini hanno partecipato alla critica del PTRC della giunta Galan e propongono un altro Veneto. Oltre 15 mila osservazioni presentate,121 associazioni e comitati aderiscono. Il documento base e gli allegati

Inseriamo di seguito la prima parte, “Valutazione d’insieme”, del documento che fornisce il quadro generale alle migliaia di osservazioni al Piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto, che decine di comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva hanno raccolto in numerose e affollate assemblee.

Il documento è stato composto nel corso di numerose riunioni di un “tavolo di lavoro”, promosso da Cantieri sociali Carta, Cgil Veneto ed eddyburg.it, al quale hanno partecipato i rappresentanti di comitati e associazioni e un gruppo di esperti, tra i quali: Stefano Boato, Walter Bonan, Lorenzo Bonometto, Paolo Cacciari, Luisa Calimani, Eliana Caramelli, Carlo Costantini, Andrea Dapporto, Cristiano Gasparetto, Carlo Giacomini, Salvatore Lihard, Sergio Lironi, Oscar Mancini, Roberta Manzi, Edoardo Salzano, Gianni Tamino, Mariarosa Vittadini. Il coordinamento dei contributi e la redazione del testo sono di Edoardo Salzano.

La seconda parte del testo (“Approfondimenti specifici”) raccoglie i contributi su una serie di aspetti: Gli aspetti naturalistici (Lorenzo Bonometto), L’agricoltura e il territorio agricolo (Gianni Tamino), Le aree produttive (Oscar Mancini), Dinamiche demografiche, politiche abitative e trasformazioni urbane (Sergio Lironi), Gli strumenti tecnico-giuridici (Carlo Costantini), Mobilità e infrastrutture per il trasporto (Carlo Giacomini), Verona: Un’anticipazione dello scempio veneto (gruppo eddyburg di Verona).

L’intero documento è scaricabile in .pdf qui sotto. Le osservazioni redatte a norma di disposizioni regionali, su cui si sono raccolte le firme dei cittadini, sono scaricabili dal sito www.estnord.it, insieme a numerosi altri materiali e documenti. In calce anche l'elenco delle associaizoni, comitati e gruppi che hanno sottoscritto il documento.

Tutto ciò nel silenzio della stampa locale e delle televisioni. Un altro insegnamento sulla realtà dei nostri tempi.

PARTE PRIMA:

VALUTAZIONE GENERALE

PREMESSA

Un piano atteso

Il Ptrc della Regione Veneto era un prodotto atteso, per molte ragioni. Dalla data del precedente piano molti anni sono passati e molti eventi accaduti. Basti pensare alle novità introdotte nel campo della tutela del paesaggio e dei beni culturali con il recepimento della direttiva europea e con il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Basti pensare alla critica che in ogni paese d’Europa e in tante città e regioni italiane denuncia il crescente consumo di suolo. Basta pensare alle drammatiche conseguenze della mutazione del clima. Basti pensare alle difficoltà, poste da tempo e accentuate con la crisi economica in atto, alla riconversione dell’apparato produttivo e al consolidamento delle attività lavorative nei settori innovativi..

La lettura della legge urbanistica regionale 11/2004 induceva a formulare, al tempo stesso, speranze e preoccupazioni. Essa infatti, se elenca puntualmente i campi e i settori cui il Ptrc deve riferirsi, non precisa che genere di indicazione la regione dovrà fornire per ciascuno di essi: se solo auspici e raccomandazioni, o se indicazioni più penetranti, capaci di indurre davvero le azioni che vengono nei fatti definite.

L’articolo 24 della legge infatti recita:

“Il piano territoriale regionale di coordinamento (Ptrc), in coerenza con il programma regionale di sviluppo (PRS) di cui alla legge regionale 29 novembre 2001, n. 35 "Nuove norme sulla programmazione", indica gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione. In particolare:

- acquisisce i dati e le informazioni necessari alla costituzione del quadro conoscitivo territoriale regionale;

- indica le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali, della salvaguardia e dell’eventuale ripristino degli ambienti fisici, storici e monumentali nonché recepisce i siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario e le relative tutele;

- indica i criteri per la conservazione dei beni culturali, architettonici e archeologici, nonché per la tutela delle identità storico-culturali dei luoghi, disciplinando le forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio in funzione del livello di integrità e rilevanza dei valori paesistici;

- indica il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale;

definisce lo schema delle reti infrastrutturali e il sistema delle attrezzature e servizi di rilevanza nazionale e regionale;

- individua le opere e le iniziative o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio, da definire mediante la redazione di progetti strategici di cui all'articolo 26;

- formula i criteri per la individuazione delle aree per insediamenti industriali e artigianali, delle grandi strutture di vendita e degli insediamenti turistico-ricettivi;

- individua gli eventuali ambiti per la pianificazione coordinata tra comuni che interessano il territorio di più province ai sensi dell'articolo 16.

Il punto delicato dei contenuti sopra elencati sta nel verbo che inizia ciascun alinea: “indica”, “individua”, “definisce”, “formula”. In che modo? Con raccomandazioni, indirizzi, suggerimenti, direttive, oppure anche con specifiche prescrizioni? Nel primo caso il messaggio trasmesso dalla Regione con il suo piano sarà futile, e potrà essere seguito o non seguito dalle province, dai comuni e dagli altri soggetti che operano sul territorio. Nel secondo caso esso sarà efficace, cioè indirizzerà davvero le trasformazioni nella direzione desiderata.

È necessario ricordare che comunque, nel merito delle azioni da compiere, a tutti i contenuti del Ptrc le decisioni relative alle trasformazioni (ai progetti, agli interventi, ai finanziamenti, alle autorizzazioni) spettano di fatto alla Regione. Se questa non avrà definito le scelte con precise regole chiaramente espresse, potrà agire in modo estremamente discrezionale: consentire a un comune ciò che nega a un altro, e così via. Meno il piano è preciso, più è discrezionale l’azione dell’autorità che pianifica e che in ultima istanza ha il potere decisionale.

La maggiore o minore efficacia di un piano va quindi cercata nell’analisi delle sue componenti che hanno efficacia precettiva: le norme tecniche d’attuazione, e le tavole cui esse esplicitamente e formalmente si riferiscono. Gli altri elaborati sono utili per comprendere la realtà cui il piano si riferisce e per argomentarne le scelte se tra essi e i precetti c’è coerenza e consequenzialità. Possono poi servire a comprendere la strategia che si intende seguire: il gioco di potere che si nasconde dietro al piano e a cui il piano serve.

I documenti di analisi, gli obiettivi dichiarati, le intenzioni espresse

Il lavoro preparatorio del Ptrc è stato ampio sia nel senso della ricchezza del materiale informativo e valutativo raccolto sia in quello della quantità e della qualità delle competenze, interne ed esterne all’amministrazione regionale, che sono state impiegate.

Ci si limita in questo paragrafo ad accennare ad alcuni elementi, che verranno poi ripresi e sviluppati nella parte successiva del documento.

Ricche e complete appaiono in primo luogo le analisi relative agli aspetti ambientali e naturalistici riassunte in vari capitoli della Relazione generale, esposte nella Relazione ambientale e raccolte in apposite componenti del Quadro conoscitivo. Ciò che ancor più interessante è il fatto che da tali analisi si ricavino, nel testo stesso delle relazioni fatte proprie dall’amministrazione regionale, indicazioni operative che spesso, più che volte a indirizzare, guidare, suggerire, sottolineano l’urgenza di prescrivere tutele e salvaguardie di immediata operatività. Così come interessante e positivo appare il fatto che vi si sottolinea la necessità di appositi istituti e provvedimenti, come ad esempio l’Osservatorio regionale del paesaggio e la Rete ecologica.

Molto positivo appare ancora l’insieme delle schede contenute nell’Atlantedegli ambiti di paesaggio. Se si prescinde da qualche valutazione critica e qualche proposta correttiva che si può formulare sull’una o sull’altra scheda, il lavoro avrebbe potuto costituire una delle due componenti (l’altra deve consistere nella individuazione dei beni appartenenti a ciascuna delle “categorie di beni” tutelati dalla legislazione nazionale e implementabili dalla pianificazione regionale) di un vero e proprio piano paesaggistico.

Del tutto condivisibili appaiono poi le valutazioni che si formulano, in più capitoli della Relazione generale, sull’entità dei danni provocati dall’abnorme consumo di suolo già avvenuto, in corso e programmato dalle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. Lo sprawl (la disordinata espansione a bassissima densità dei centri urbani, la disseminazione di costruzioni d’ogni tipo e la proliferazione di strade di tutte le dimensioni) appare correttamente indicato come una delle principali cause del degrado progressivo dei paesaggi e dell’ambiente dal Veneto. I dati raccolti e la capacità di analisi precisamente territorializzata del fenomeno che essi rivelano appare come una base sufficiente a definire politiche mirate, immediatamente agibili e suscettibili di arrestare senza indugio il progresso della distruzione del territorio.

L’insieme delle analisi specifiche (di cui abbiamo qui sottolineato solo alcuni degli aspetti positivi) trovano una buona sintesi pre-operativa nel Quadro sinottico del sistema degli obiettivi. Tuttavia questo documento, più che indicare i traguardi raggiungibili con il Ptrc, potrebbe costituire l’utile sommario di una critica distruttiva.

Quattro elementi critici

Analizzando il Ptrc nella sua struttura complessiva emergono quattro versanti di critica:

critica all’efficacia del piano, nel senso della mancata coerenza tra le analisi e gli obiettivi positivi espressi nella parte illustrativa del piano e le scelte formulate nella parte precettiva;

critica, in particolare, al modo in cui la Giunta regionale tenta con il Ptrc di eludere le responsabilità che l’articolo 9 della Costituzione e i conseguenti provvedimenti normativi pongono a tutte le istituzioni della Repubblica (e in primis alle regioni) in ordine alla tutela del paesaggio;

critica allo forte riduzione dei poteri degli enti locali nell’esercizio delle loro competenze in merito al governo del territorio e alle conseguenti scelte territoriali;

critica alla strategia sottesa al Ptrc, dichiarata esplicitamente in alcuni documenti e convalidata dai contenuti precettivi del Ptrc.

In sintesi, mentre il piano afferma di voler tutelare l’ambiente e il paesaggio, contrastare il consumo di suolo, migliorare la vivibilità, rafforzare l’identità dei luoghi, migliorare la vivibilità, nella sostanza la giunta regionale attribuisce a se stesso il potere di decidere i grandi interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio e lascia mano libera ai piccoli, medi e grandi poteri immobiliari di trasformare a loro piacimento il resto del territorio, con una sostanziale finalizzazione al mero sviluppo immobiliare.

L’INEFFICACIA

Nessun vincolo

Il prologo delle norme tecniche d’attuazione rivela una cosa interessante. Si parla dei “vincoli giuridici gravanti sul territorio veneto”. A questo proposito va detto innanzitutto che quando si parla di “vincoli” sembra che si parli unicamente di utilizzazioni del suolo che non comprendono l’edificabilità. Dal linguaggio adoperato dai pianificatori regionali sembra che destinare un’area a un bosco, a un alveo fluviale o a un’attività agricola, alla fruizione di un’area archeologica o alla difesa dalle frane o delle falde idriche, significa porre un “vincoli”: meno si “vincola”, cioè meno si sottrae all’ urbanizzazione del territorio, meglio è.

Nei documenti del piano si afferma del resto esplicitamente l’inefficacia del piano. Sempre nel Prologo alle norme, quando si definisce “Il Ptrc di seconda generazione”, si dichiara che è un piano “di idee e scelte, piuttosto che di regole, un piano di strategie e progetti, piuttosto che di prescrizioni”. Si precisa che “il Ptrc persegue gli obiettivi non mediante prescrizioni imposte ai cittadini e limitative dei loro diritti”. Di quali diritti si preoccupa il piano appare evidente dal contesto: i “cittadini” cui ci si rivolge sono i proprietari immobiliari, interessati a uno “sviluppo del territorio”, senza fastidiosi “vincoli”.

Che c’è dietro l’inefficacia:

alcuni esempi

La rinuncia all’efficacia nasconde la possibilità dell’attività edilizia di procedere indisturbata su tutte le aree, anche in quelle per le quali a parole si esprime una intenzione di più adeguata utilizzazione. Facciamo alcuni esempi.

Le zone agricole

La valorizzazione del territorio agricolo e dei paesaggi rurali sono obiettivi più volte dichiarati. Nel merito, tutto il territorio rurale è suddiviso in quattro tipi di aree: “agricoltura periurbana”, “agropolitane in pianura”, “ad elevata utilizzazione agricola”, “ad agricoltura mista a naturalità diffusa”. Questa aree sono definite su di una cartografia a piccolissima scala e sono del tutto indeterminate nei loro confini.

Ragionevolmente, per contrastare il consumo di suolo e difendere naturalità e agricoltura, da tali aree dovrebbe comunque essere esclusa l’urbanizzazione. Ma non è così.

Nelle aree ad “agricoltura periurbana”, e in quelle “agropolitane in pianura” bisogna “localizzare prioritariamente lo sviluppo insediativo”. Inoltre, in quelle ad “agricoltura periurbana” bisogna “garantire l’esercizio non conflittuale delle attività agricole rispetto alla residenzialità”, e in quelle “agropolitane” bisogna addirittura “garantire lo sviluppo urbanistico attraverso l’esercizio non conflittuale delle attività agricole”.

Nelle stesse aree ad “elevata utilizzazione agricola” bisogna “limitare”, non vietare, “la penetrazione in tali aree di attività in contrasto con l’obiettivo della conservazione delle attività agricole e del paesaggio rurale”

Le norme, insomma, non solo non forniscono cartografie definite, criteri certi, limiti, indici, parametri oggettivi, metodi per salvaguardare le risorse naturali, ma addirittura sollecitano a non creare conflitti alla tranquilla crescita dell’edilizia nelle residue zone rurali del Veneto.

La continua preoccupazione di tutelare la possibilità dei proprietari di edificare sul loro terreno traspare in ogni norma. Perfino nel definire la “rete ecologica”, per la quale il piano non dà nessuna prescrizione tassativa, l’unica preoccupazione è nella direzione dell’edificabilità: bisogna ispirarsi “al principio dell’equilibrio tra la finalità ambientale e lo sviluppo economico” e bisogna evitare “per quanto possibile la compressione del diritto di iniziativa privata”!

Il sistema produttivo

Per il sistema produttivo il piano definisce numerose tipologie territoriali. Vi sono i “territori urbani complessi”, i “territori geograficamente strutturati”, quelli che sono invece “strutturalmente conformati”, e poi le “piattaforme produttive complesse regionali”, le “aree produttive con tipologia prevalentemente commerciali”, nonché le “strade mercato”.

Accanto a queste, che sembrano occupare, nell’indeterminatezza della cartografia, quasi tutto il territorio di pianura e di collina, il piano individua le “eccellenze produttive”, definite in termini settoriali e non territoriali,che attraversano orizzontalmente tutte le aree predette e che “la Regione valorizza mediante appositi interventi e progetti che ne assicurino lo sviluppo”.

In tutte queste aree (che non sono né perimetrate nelle cartografie né caratterizzate da regole definite) bisogna “contrastare il fenomeno della dispersione insediativa” individuando “linee di espansione delle aree produttive”, definendo “modalità di densificazione edificatoria sia in altezza che in accorpamento”. Meri suggerimenti, che peraltro invitano ad aumentare l’estensione e la quantità dei volumi destinati alle attività produttive.

Aree urbane

Molto simili sono le indicazioni del piano per le aree urbane. Dietro il titolo accattivante “Città, motore del futuro” si rivela il medesimo criterio. Nessun vincolo allo sprawl, al consumo di suolo, alla continua espansione disordinata e frammentata della città sul territorio rurale: guai a porre “vincoli”! In aggiunta alla prosecuzione e all’intensificazione dello “svillettamento” (del resto ulteriormente stimolato dalla recentissima legge per lo sviluppo dell’edilizia, impropriamente chiamato “piano casa”), si sospingono comuni, province, costruttori, proprietari a densificare le aree urbane esistenti, compattare, riempire, annaffiare il terreno di mattoni, cemento e asfalto per far crescere grattacieli.

Nelle relazioni si fornisce la giustificazione: c’è un drammatico problema della casa, un grande fabbisogno insoddisfatto di abitazioni. Ma si trascura il fatto che chi ha bisogno di un alloggio è il giovane o l’immigrato, il quale non ha le risorse per accedere a un mercato caratterizzato da prezzi sempre più alti: un mercato nel quale, come spiegano seri studi di economia, l’accrescimento delle costruzioni non porta a una riduzione e dei costi, ma anzi ad un loro aumento.

L’ELUSIONE DELLA RESPONSABILITÀ DI CONTRIBUIRE

ALLA TUTELA DEL PAESAGGIO

Premessa

Come è noto, la Regione Veneto dispone di un pano paesaggistico ai sensi delle leggi vigenti a partire dal 1992. Esso è costituito dal Ptrc adottato nel 1986 e approvato il 13.12.1991, cui è stata conferita la caratteristica di “piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici e ambientali” ai sensi della legge 431/1985 (legge Galasso). Si tratta di un’analisi e una disciplina del paesaggio che risale a vent’anni fa, e che quindi meriterebbe certamente di essere aggiornata, specificata, integrata, sia per tener conto di elementi significativi che in quelli anni potevano non sembrare rilevanti e oggi invece lo sono, sia delle estese situazioni di degrado sopravvenute nel frattempo e che meriterebbero di essere segnalate e cui si dovrebbero attribuire specifiche azioni di restauro ambientale e paesaggistico, sia infine della sopravvenuta disciplina, ben più matura e incisiva, definita con le successive versioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs 42/2002 e successive modifiche).

Del resto, nella formazione del Ptrc ora in corso di discussione la Regione ha svolto una serie ampia e significativa di analisi sul paesaggio e l’ambiente, di qualità complessivamente notevole. I suoi risultati sono ulteriormente elaborati e rappresentati in alcuni dei documenti che compongono l’ampio pacco del Ptrc, e in particolare nell’Atlante ricognitivo degli ambiti del paesaggio, il quale definisce almeno alcuni degli elementi di tutela richiesti dal citato Codice.

Va considerata quindi una prima grave carenza del Ptrc, a proposito della tutela del paesaggio, la rinuncia ad aver costruito il nuovo piano conferendogli la qualità di “piano paesaggistico”, e quindi di non aver proceduto – per quanto riguarda la tutela – all’intesa con gli organi del Mibac (Ministero per i beni e le attività culturali), come la legge dispone. Una carenza indubbiamente d’ordine culturale, politico e sociale, se è vero che il paesaggio è un rilevantissimo patrimonio della collettività, cui è affidato il benessere attuale e futuro dell’intera popolazione.

É quindi molto grave l’affermazione che si formula nel “preambolo” dove, disattendendo sia la Convenzione europea sul paesaggio sia il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la Giunta dichiara che provvederà solo successivamente (senza neppure precisare la data) a redigere il piano paesaggistico, e quindi a integrare il paesaggio nella pianificazione territoriale e urbanistica” – come richiede la Convenzione europea . Con questa decisione la regione rinuncia ad applicare l’unico strumento legislativo che richieda di porre vincoli di tutela del paesaggio, l’ambiente, i beni culturali. Rinuncia cioè all’unico strumento che avrebbe la forza di dare efficacia al piano e a tradurre le intenzioni proclamate in fatti. Ciò è particolarmente grave in una situazione nella quale, per effetto della legge regionale sull’edilizia, minaccia di scatenarsi l’edificazione senza remore né ostacoli. La tutela del paesaggio, seppure arriverà, lo farà troppo tardi.

Il tentativo di eludere la vigente tutela del paesaggio

La legge dispone che le previsioni dei piani paesaggistici “sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle provincie, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle diposizioni contenute negli atti di pianificazione” (Codice dei beni culturali e del paesaggio, articolo 145, comma 3).

La medesima legge dispone altresì che, per le regioni, come il Veneto, già dotate di un piano paesaggistico, questo venga adeguato alle nuove disposizioni entro una data, che è stata portata con successive proroghe al 31 dicembre 2009. Ovviamente, fino all’entrata in vigore della nuove disposizioni vigono le precedenti tutele, quindi la disciplina di cui al Ptrc1986/1991.

Viceversa la Giunta regionale tenta una pericolosissima violazione della legge. Si vorrebbe infatti disporre che le aree e gli ambiti di particolare tutela del Ptrc1986/1991 sopra citati, ancora sotto la tutela di competenza statale definita da quel piano, “possono essere disciplinati, fatto salvo il Piano Faunistico Venatorio regionale di cui alla legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1, mediante i Piani di Area dell’art. 48 della legge regionale 23 aprile 2004 n. 11, oppure attraverso PAT o PATI” (articolo 72, comma 1, lettera b).

In altri termini un singolo comune, o un gruppo di comuni, è lasciato arbitro di una tutela che la Costituzione mette in capo alla Repubblica e che la stessa Costituzione, per quanto riguarda la tutela, attribuisce alla competenza esclusiva della legislazione statale. La tutela diviene “possibile” e non cogente, ed è comunque lasciata alla buona volontà di questo o quel comune, disomogenea e a pelle di leopardo.

Questo tentativo è particolarmente grave anche perché ingenera nel fruitore del Ptrc la convinzione che le disposizioni di tutela dei beni paesaggistici del Ptrc1986/1991 siano decadute. Si potrebbe pensare che esse vengano disattese dalla stessa Regione, per esempio nell’’attivazione di “progetti strategici” di cui all’articolo 5 delle Norme. Molti di tali progetti ricadono su aree opportunamente tutelate dal previgente Ptrc e dai suoi strumenti attuativi.

Una specifica osservazione presentata propone di conseguenza di eliminare, dall’articolo 72, l’intera lettera b), e di precisare con un apposito comma aggiunto che le tutele del Ptrc previgente esplicano ancora tutta la loro efficacia.

LA RIDUZIONE DEL POTERE DEGLI ENTI LOCALI

La tendenza generale

In Italia è già in corso da anni un trasferimento di poteri dal basso verso l’alto e dall’ampio al ristretto. Mentre da un lato si predica la partecipazione, dall’altro lato, e nei fatti, si trasferiscono competenze (e perfino conoscenze) dagli organi collegiali a quelli ristretti, da quelli che rappresentano la pluralità delle posizioni e l’insieme degli elettori a quelli che esprimono “chi ha vinto”: dai consigli ai sindaci e ai presidenti. In nome della governabilità si minano le radici della democrazia.

Alcune delle scelte più rilevanti del Ptrc si inseriscono perfettamente in questa linea. Ci riferiamo soprattutto a due elementi: il ricorso ai “progetti strategici” e il ruolo della rete infrastrutturale e delle sue connessioni col territorio. Ma si potrebbe aggiungere che la stessa genericità delle norme consente alla Regione il massimo di discrezionalità nelle procedure di approvazione degli atti degli enti locali, e quindi il massimo di potere nelle mani del Presidente e della Giunta regionale.

Ciò vale per i piani comunali come per quelli provinciali; l’approvazione di questi ultimi, del resto, è stata sempre rinviata dalla giunta regionale, in modo da ritardare il trasferimento delle competenze di approvazione dei PAT comunali.

Progetti strategici

Secondo la legge regionale 11/2004, articolo 26, “per l’attuazione dei progetti strategici l’amministrazione, che ha la competenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, ai sensi dell'articolo 7, che assicuri il coordinamento delle azioni e determini i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento”.

L’accordo di programma è uno strumento che consente di accordarsi tra i capi delle amministrazioni interessate, di tagliar via tutte le fasi di conoscenza allargata delle decisioni che si stanno assumendo anche in variante agli strumenti urbanistici, senza seguire la procedura di consultazione democratica che le procedure urbanistiche normali consentono. Il Consiglio comunale o provinciale, cioè l’organo collegiale eletto da tutti i cittadini e nel quale sono presenti le rappresentanze di tutte le posizioni politiche, culturali, sociali, viene informato solo all’ultimo momento, ed è competente per la mera ratifica di decisioni già prese.

L’accordo di programma è quindi lo strumento ideale per chi vuole decidere in fretta senza che nessuna sappia che cosa, a favore di chi e con quali conseguenze. É lo strumento adoperato con larghezza negli ultimi anni proprio per scardinare quel tanto di procedure democratiche e di decisioni sistemiche che la pianificazione urbanistica e territoriale consente.

La parte del leone nell’accordo di programma lo fa chi promuove l’azione e ne controlla materiali e tempi; nel caso specifico dei “progetti strategici” e delle grandi infrastrutture è la Giunta regionale che propone e, in ultima istanza, decide.

Guardiamo gli argomenti di alcuni dei “progetti strategici” (ma la Regione si autorizza a inserirne altri): l’attività diportistica (se vuole, di darsene e porti turistici ne progetta quanti ne vuole e li pianifica in barba ai comuni); l’ambito portuale veneziano; le neonate “cittadelle aeroportuali” (accanto agli aeroporti può autorizzare i comuni a “introdurre forme di valorizzazione delle aree sottoposte a vincolo […] attraverso misure di perequazione e compensazione che interessano aree contigue”, cioè regali di cubature); le aree circostanti le stazioni ferroviarie della rete metropolitana regionale e i caselli autostradali; quelli che il piano definisce “hub principali della logistica” (Verona Quadrante Europa, un analogo sistema policentrico tra Padova, Venezia e Treviso), e una serie di altri “terminal intermodali”. Ciascuno, ovviamente, col suo contorno di cemento, mattoni, asfalto, e soprattutto affari.

I caselli autostradali (e le stazioni del sistema ferroviario)

Il disegno complessivo della Giunta regionale per il territorio diventa chiaro via via che si procede alla sua lettura. È un sistema centrato sulla rete autostradale e sulla utilizzazione intensiva delle aree circostanti i caselli. Là devono addensarsi le attività direzionali nuove da promuovere, la ricettività alberghiera, i centri commerciali, tutti i centri d’interesse. Poco importa che non esista alcuna seria dimostrazione dell’esigenza di aumentare le sedi per tali attività senza verificare la possibilità di ospitarle nelle strutture edilizie esistenti o nelle aree dismesse. Poco importa che con questa operazione si svuotino le città e si condannino al deperimento i centri storici.

Ciò che conta è che le decisioni relative a questi nodi li assuma tutti la Giunta regionale. Le norme infatti stabiliscono (articolo 38) che “le aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria ed al Sfmr per un raggio di 2 Km dalla barriera stradale sono da ritenersi aree strategiche di rilevante interesse pubblico ai fini della mobilità regionale. Dette aree sono da pianificare sulla base di appositi progetti strategici regionali”.

Le aree dove si prevede di concentrare lo sviluppo immobiliare e finanziario, e insieme con esse i cuori delle aree urbane (poiché tali sono spesso le stazioni ferroviarie) sono sottratte al potere dei poteri locali: sono affidati alla Giunta regionale.

I grandi assi infrastrutturali

Un’attenzione particolare il Ptrc pone agli assi infrastrutturali, e in particolare quello costituito dal Corridoio intermodale europeo V. Il piano definisce “territori strutturalmente conformati le aree e le macroaree produttive connesse” a tale corridoio, “nel tratto compreso tra Verona e Portogruaro, per una profondità non inferiore a km. 2,00 dalle infrastrutture”. Le province “determinano i criteri per il funzionale posizionamento degli ambiti produttivi rispetto al fascio infrastrutturale” articolo 43), “favoriscono la razionalizzazione della rete distributiva esistente attraverso la localizzazione di macroaree prioritariamente collocate in prossimità delle grandi vie di comunicazione”.

Benchè l’apparato grafico del Ptrc sia costituito da disegni ideogrammatici, del tutto indeterminati nell’individuazione delle aree specificamente interessate dai diversi tipi di insediamento, è facile comprendere che il Ptrc fornisce la base per rilanciare i grandi progetti di trasformazione del territorio avanzati da gruppi d’interesse cha assumono come obiettivo della loro azione la valorizzazione economica (cioè la speculazione immobiliare) delle aree di cui sono venuti in possesso. Si tratta in particolare delle iniziative denominate in altra sede Veneto City e Città della Moda lungo la direttrice tra Padova e Venezia, e Marco Polo City sul bordo Nord-Est della Laguna di Venezia, in corrispondenza all’aeroporto di Tessera, ribattezzato “cittadella aeroportuale”, e per ciò stesso dotato di cubature da perequare (articolo 40).

LA STRATEGIA

Una “seconda modernità” preoccupante

La strategia della Giunta del Veneto emerge con chiarezza dall’esame dei documenti che abbiamo riassunto nei precedenti paragrafi. Ma essa è ben descritta in un documento preliminare al piano: quello scritto da Paolo Feltrin, esperto di politiche amministrative, dedicato a “La seconda modernità veneta e il territorio”. Esso trova preciso riscontro nelle scelte contenute nella normativa, mentre vengono del tutto ignorati i contributi di altri esperti, tra cui i compianti Eugenio Turri e Mario Rigoni Stern.

In quello scritto l’analisi della situazione territoriale del Veneto è precisa, nella sua efficace sinteticità. Tutti i fenomeni più rilevanti vi sono descritti: dalla prevalenza dei modelli abitativi unifamiliari e sparpagliati (lo “svillettamento”, lo sprawl), l’inefficienza del sistema della mobilità (addebitato all’insufficienza della rete stradale), il ruolo assunto dai caselli autostradali (sempre più caratterizzati dalla presenza di strutture del terziario) la desertificazione della rete dei centri storici (addebitata all’alto livello dei canoni di locazione e alla concorrenza delle nuove strutture commerciali). Il fatto è che questi elementi, che vanno letti tutti come elementi di crisi da correggere o rimuovere, vengono visti come dati ineliminabili, segni di vitalità di un sistema che deve essere assecondato (e razionalizzato) nel suo trend.

Su questa linea si arriva ad affermazioni francamente aberranti.

Come quando si afferma (p. 36) che c’è ancora tanta campagna nel Veneto sicché il consumo di suolo non è un problema reale, poiché la percentuale di terreno rurale è di molto superiore a quella delle terre coltivate: come se l’attività economica del settore primario fosse l’unica ragione della salvaguardia del suolo dall’urbanizzazione, se l’obiettivo non dovesse essere quello della difesa del territorio rurale nel suo complesso, e se non fosse già gigantesca l’area laterizzata e sottratta al ciclo della natura.

O quando si assume come “una prima spinta per il futuro” il fatto che la domanda abitativa “continuerà a essere rivolta prevalentemente verso una casa individuale, una bifamiliare o una villetta a schiera”, senza domandarsi da quali ceti sociali questa domanda proviene, che cosa comporti in termini economici e territoriali soddisfarla e quali ne siano le ricadute sul prezzo che la collettività presente e futura deve pagare per un simile lusso.

Oppure quando si afferma che si devono assumere decisamente i caselli autostradali come le nuove polarità da incentivare. Anche qui, si assume come guida il comportamento spontaneo di un sistema sregolato, quale quello attuale, o regolato da un sistema di deroghe e “accordi di programma” a loro volta derogatori, e si individua come modello dell’auspicato futuro ciò che è accaduto attorno al casello di Padova est.

Si ribadisce così, per un verso (la prosecuzione dello svillettamento) e per l’altro (l’enfatizzazione delle autostrade), il cancro della tendenziale esclusività della motorizzazione individuale.

Aumentare, intensificare, estendere l’urbanizzato

É abbastanza singolare, e a suo modo rivelatore, il rapporto che si stabilisce tra la spinta verso la realizzazione di nuovi volumi per ospitare attività produttive, commerciali, ricettive, ricreative e sportive e la contemporanea tutela della vitalità dei centri urbani, e in particolare dei centri storici.

Si raccoglie in anticipo l’obiezione che prevedere nuovi insediamenti omnibus in corrispondenza dei caselli autostradali, ove tali operazioni avessero successo non solo in termini di valorizzazione patrimoniale ma i volumi realizzati si riempissero effettivamente di funzioni, queste verrebbero sottratte ai centri urbani esistenti. Ciò è avvenuto dovunque centri commerciali, direzionali e altri simili “non luoghi” hanno sottratto attività, in particolare al commercio e ai servizi urbani.

Si corre subito al riparo raddoppiando. Feltrin suggerisce di incentivare “uno sviluppo edilizio verticalizzato, in modo da trasferire all’interno del centro urbano il centro commerciale tout-court” (p. 41). E le Norme raccolgono il suggerimento: si invitano i comuni a individuare anche nei centri urbani e in quelli storici “aree ed edifici che consentano l’insediamento di grandi strutture di vendita” (articolo 47).

Nella stessa direzione spingono le scelte che la Giunta regionale compie per quanto riguarda la residenza. Si afferma categoricamente che l’incremento demografico registrato negli ultimi anni, che si prevede possa continuare, “rende inevitabile un ulteriore aumento dell’edificato. Inevitabile, non c’è scelta” (Relazione dei proto, p. 94). Si trascura del tutto la presenza di una enorme quantità di volumi inutilizzati, e una quantità ancora maggiore di volumi previsti dagli strumenti urbanistici vigenti. Si trascura del tutto di domandarsi per quali ceti, in quali luoghi, in relazione a quali redditi esiste un problema di accesso all’alloggio. E, nel concreto, non si fornisce alcuna indicazione, alcun programma, alcuna ipotesi di finanziamento, se non la sollecitazione a costruire, intensificare, proseguire e “governare” l’espansione delle villettopoli.

Questa spinta all’espansione dell’urbanizzazione si sposa, da un lato, al disegno delle grandi infrastrutture, dall’altro, al proliferare delle iniziative di bricolage immobiliare.

Sul primo versante la citata Relazione dei proto suggerisce immagini significative: “Il passante di Mestre e il GRA di Padova lasciano prefigurare diversi possibili scenari di sviluppo per le due città. Se guardiamo a Mestre, il Passante potrebbe essere interpretato come una nuova, più ampia cinta muraria, il nuovo confine di una diversa città con ambizioni di capitale regionale. In questa prospettiva, la convergenza delle strategie di densificazione con la capacità di dare soddisfazione alla domanda di capitale andrebbero nella direzione di processi di densificazione degli spazi compresi tra il nuo­vo passante e la vecchia tangenziale di Mestre. Secondo i criteri prima proposti: incrementare l’offerta abitativa e realizzare zone produttive e direzionali di dimensioni e caratteristiche tali da indirizzare qui la domanda”. Non è necessario lanciare una sfida ai politici, come il “proto” fa. L’hanno già raccolta in anticipo: si tratta dei progetti Veneto City e Marco Polo City, componenti della Città del Passante che ha già i suoi robusti sponsor, i suoi politici di supporto, e le sue proprietà immobiliari.

Sull’altro versante, quello del bricolage immobiliare, ecco la legge “veneta” che segue e raddoppia il “decreto casa” di Berlusconi , sbugiardando l’accordo stato-regioni che, grazie all’intervento moderatore delle regioni più responsabili, sembra prevedere misure molto più contenute e meno devastanti di quelle inizialmente prospettate. Una legge regionale, in attesa di approvazione all’indomani delle elezioni, che consente la moltiplicazione di tutte le cubature esistenti, residenziali e non residenziali, in deroga a qualsiasi strumento di pianificazione , perfino senza adeguare le aree a standards destinate ai Servizi.

La saldatura delle componenti del blocco edilizio

Appare ormai chiaro che dagli atti di politica del territorio dell’amministrazione regionale emerge una strategia che vede l’abile confluenza di due linee complementari.

Da un lato si programma l’ulteriore intensificazione della rete autostradale, in alcuni casi sostituendo strade statali e regionali oggi gratuite, l’utilizzazione dei caselli (e delle stazioni ferroviarie), dei passanti e dei raccordi autostradali, come sedi di nuove concentrazioni immobiliari e la sottrazione ai poteri comunali delle grandi trasformazioni del territorio.

Dall’altro lato, una normativa che lascia briglia sciolta a livello locale a tutti i piccoli (e meno piccoli) interessi immobiliari, rafforzata da una legge per l’edilizia che incentiva l’aumento indiscriminato di tutte le volumetrie disponibili sul martoriato territorio veneto. Le affermazioni virtuose di tutela della natura e dell’ambiente, dell’agricoltura e della montagna, sono vanificate da una normativa che proclama il buono senza negare il cattivo, utilizza termini accattivanti ma privilegia la libertà della proprietà di costruire senza vincoli; e premia con ulteriori volumi chi vuole continuare ad allargare la già gigantesca impronta ecologica del Veneto.

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