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Alessandra Fava
Genova: la Diga Rossa di Begato
30 Luglio 2008
Altre città italiane
Un quartiere degradato e le idee per un recupero partecipato degli spazi e del tessuto sociale (prima che ci pensino altri). Il manifesto, 30 luglio 2008 (f.b.)

Una passiera, cassette della posta in ordine, i nomi sul citofono oppure l’ascensore che puzza di benzina, il citofono divelto, portone sfondato, scritte naziste sui muri: il quartiere Diamante in Valpolcevera è così, si mescola il pugno nello stomaco e la bellezza.

Ci sono alla Diga rossa e a quella bianca, come vengono chiamate in gergo, scale pulite, appartamenti di 70-80 metri quadri luminosi e un balcone in comune con altri due o tre vicini di casa, e altre aree (per fortuna minoritarie) abbandonate, con mobili rotti o trasformate in officine per l’assemblaggio di moto rubate. A monte appare un altro caseggiato enorme, via Cechov, qualche balcone murato e il problema eterno dell’acqua che s’infiltra, niente ascensori per disabili, scarsa illuminazione. E su ancora, altre case con solo pochi appartamenti per edificio che dopo vent’anni avrebbero bisogno di una rinfrescata. Ovunque silenzio, lo spazio dilatato della campagna a due passi e l’aria tersa. Sono le cose che chi è nato qui ama di più.

Passate le elezioni, c’è chi su Begato vuole fare un convegno a Palazzo Tursi e un workshop in loco per dar vita a un laboratorio vivo, come si è fatto a Cinisello Balsamo o Torino, come stanno tentando in tante periferie spagnole e francesi nate dal boom e dalla speculazione. «Vogliamo che il quartiere sia deciso da chi vi abita e che dagli abitanti arrivino le idee per riqualificarlo – dice il presidente regionale del Sicet Stefano Salvetti – non vogliamo che da mostri nascano altri mostri».

La storia di Begato nasce con la costruzione del primo caseggiato di case popolari nell’84, la Diga rossa (277 appartamenti). L’idea era di farne una città immersa in un parco urbano con negozi nei corridoi. Invece i negozi non hanno mai aperto, il parco è sparito ingoiato dalla fame di metri quadri: in pochi anni si è aggiunta la Diga bianca (altri 277 appartamenti) ed edifici, per un totale di 1600 alloggi. A disagi si sono sommati altri disagi. Per anni nell’immaginario dei genovesi è stato il posto dove la gente correva in motorino ai diversi piani. La storia delle corse è finita quando la Diga rossa è stata finalmente divisa da una verticalizzazione. Eppure secondo la Caritas resta una delle dieci periferie più degradate d’Italia, anche se gli abitanti alla cattiva nomea non ci stanno: «Ho avuto la fortuna di navigare – dice il presidente della Polisportiva Diamante, Gavino Lai – a Miami Beach ci sono edifici come questo. Il problema non è la struttura, ma la gente che hanno mandato», tradotto sarebbe «tossicodipendenti, malati mentali ed ex-carcerati». Lai ha battagliato sin dall’84 col Gruppo inquilini, «primo, perché nella Diga bianca non facessero i corridoi da cima a fondo come nella rossa, secondo perché si aprisse un supermercato e infine perché la farmacia pagasse un affitto basso». Tutte cose realizzate.

Ma i problemi restano. Per questo oggi il Sicet propone la modifica della normativa sulle assegnazioni per creare un mix sociale, «non a detrimento del patrimonio di edilizia popolare che deve restare», precisa Salvetti.

Oggi tanti abitanti (3200 circa) vorrebbero che il quartiere rivivesse; che Arte (l’azienda regionale, ex Iacp) mandasse degli ispettori; che tutte le case fossero assegnate visto che nella graduatoria per le case popolari ci sono 2300 persone in attesa, verranno assegnati solo 300-400 alloggi e il resto aspetterà; altri propongono che si facciano spazi di assistenza e intrattenimento per gli anziani (sei su dieci abitanti) e soprattutto che si risolva la questione manutenzione visto che se si rompe l’ascensore il vecchietto al ventesimo piano è costretto a casa finché non l’aggiustano.

Il sindaco punta invece a coinvolgere l’Urban Lab e il superconsulente all’urbanistica Renzo Piano. «Oggi a Begato non ci vuole andare nessuno – sostiene Marta Vincenzi - bisogna diradare, ridurre le volumetrie in modo che gli edifici siano più gestibili. Un casermone così oggi non si costruirebbe più». Ma quelli che vivono qui dagli anni Ottanta sono affezionati anche a quello che gli architetti chiamano mostro, perché hanno affitti calmierati (ci sono pensionati che pagano una quarantina di euro al mese): «Abbattere parti della Diga è un peccato – dice il presidente del comitato di via Maritano, a Begato bassa, Mario Lopuzzo – noi suggeriamo piuttosto di ripopolare con attenzione. Sarebbe bene che dessero le case a giovani coppie appena sposate e che agevolassero l’assegnazione degli appartamenti ai figli di chi vive qui». Uno di loro con fidanzata e neonato ha occupato abusivamente un appartamento pur di rimanere, e quando lo sfrattano se ne trova un altro.

Tanto la scelta non manca: tra Diga rossa e bianca ci sono oltre 200 appartamenti vuoti, manna per una trentina di abusivi. E mentre tre comitati, quello di via Maritano e altri due legati alle zone più a monte del quartiere, spesso s’accapigliano, l’assessore comunale alle politiche della casa Bruno Pastorino suggerisce di guardare a esperienze europee, «vale a dire puntare sul diradamento e sul mix sociale, quindi ridurre le volumetrie presenti intervenendo in altezza o sulle lateralità. Ora è una struttura che viene avvertita come opprimente, un luogo che più che permettere la socialità favorisce alienazione. Sarebbe opportuno mixare edilizia pubblica e privata, in modo che in quella zona non vivano solo gli assegnatarima possano stare anche i loro figli che magari hanno un reddito migliore. Nonmi stupisco quindi se alla fine il quartiere Diamante ha gli indici più alti per somministrazione di psicofarmaci a Genova».

La questione sanitaria non è secondaria. Secondo uno studio dell’Istituto di statistica francese pubblicato lo scorso ottobre, quelli che vivono con 817 euro al mese a famiglia (sono oltre 7 milioni) hanno quasi il doppio delle carie, non hanno assistenza sanitaria integrativa (22 per cento contro il 6 del resto della popolazione), vanno meno a fare visite specialistiche. Così l’Istat nostrana in una ricerca del 2006 col Ministero della sanità, che ha esaminato un campione di 60 mila famiglie a basso reddito e preso a parametro l’educazione scolastica, scopre che chi ha la licenza elementare non è in salute come i laureati (16% contro il 2,5), ha patologie croniche più facilmente (32,5 contro l’8,2), insomma non ha tempo e soldi per andare dal medico.

Per questi e altri motivi a Begato sono fieri di avere un ambulatorio, anche se «noi ce la mettiamo tutta, ma la sensazione è che qualcuno non voglia che cambi nulla», dice Nicoletta Bodrato, farmacista e volontaria del poliambulatorio nato nel ‘99. Qui operano dodici specialisti che visitano gratuitamente e su appuntamento gli abitanti della zona ricoprendo moltissime patologie (dall’andrologia alla ginecologia, poi cardiologia, angiologia, chirurgia per adulti e pediatrica e ancora dietologia, gastroenterologia, psicologia, ortopedia e urologia).

A questi si aggiungeranno presto altre due specialità, oculistica e dentistica, grazie a una seconda tranche di interventi comunali. «Oggi – spiega Nicoletta – siamo alla caccia di un paio di medici di base per fare un polo associato. Almomento sono coperte solo 12 ore alla settimana ». La nascita del polo associato («offriamo gli studi gratuitamente», precisa il titolare della farmacia) permetterebbe di risolvere una serie di problematiche burocratiche: per esempio il fatto di dover andare dal proprio medico di base per far riscrivere la ricetta data dallo specialista dell’ambulatorio.

Quanto ai giovanissimi, nel 1999 gli operatori di strada, pur di agganciarli, si erano inventati l’officina. Montando e smontando marmitte, spesso di mezzi rubati con targhe di cartone e senza nessuna assicurazione, si finiva col parlare di legalità. La questione poi è morta lì per problemi ovvii (d’illegalità). «Ogni tanto incontro qualcuno e mi dice che ha l’assicurazione della macchina», dice Paolo Putti del consorzio Agorà, coordinatore del progetto Diamante del centro servizi della Valpolcevera finanziato dal Comune. E’ da lì che sono partiti gli operatori di strada che continuano a promuovere progetti sui giovani abitanti tra i 10 e 25-30 anni. «Un po’ l’architettura, un po’ l’assegnazione delle case, ha assommato problematiche delle persone che venivano in questo quartiere – spiega Putti – Diamante ha finito col dare solo una risposta abitativa e la popolazione non è stata coinvolta dalle amministrazioni passate nelle decisioni, ad esempio quella della verticalizzazione della Diga rossa». Per trovare qualche soluzione è partito alla fine degli anni Novanta il progetto Diamante del distretto sociale, inizialmente dedicato ai ragazzi sotto i 18 anni. Tra le attività, serate di karaoke col dj e gite.

Un altro centro di incontro è «l’asilo», dove due educatrici tengono quattro bambini alla volta alla mattina, da uno ai tre anni, e al pomeriggio puoi incontrare quattro marocchine e una tunisina che si scambiano consigli o studiano l’italiano sotto dettatura. «Alcune di loro non sanno scrivere neppure l’arabo – racconta un’educatrice, Claudia - perciò abbiamo inventato un libro con tutte le lettere dell’alfabeto con la parola in italiano e in arabo, il disegno e anche il suono della pronuncia in arabo». Così arancia è anche burducaleton e albero anche chajarstan. Questo che sembra un gioco didattico serve poi a leggere bollette e documenti che arrivano a casa. Le donne del quartiere non vogliono parlare, spesso sono oggetto di frasi razziste. L’altra operatrice, Silvana che vive a Begato, ma «dall’altra parte, dove c’è il quartiere residenziale con scuole, negozi e un centro sociale» conosce la zona a menadito: «15 anni fa la gente qui non ci veniva, c’erano per la metà tossicodipendenti.

Oggi sta cambiando ma la testa della gente è ancora ancorata alle vecchie paure. Vivono chiusi nel loro bunker senza la voglia di mettersi in relazione». Perché per essere come quelli «dall’altra parte» «c’è bisogno di appartenere, di amare il posto dove vivi e questo succede ancora a macchia di leopardo», ti spiega Claudia.

Ci vogliono fatti e non parole, ripetono gli abitanti. Nella vecchia sede della Polisportiva, le suore vicenziane del centro d’ascolto hanno lanciato un corso di cucina per le badanti, un’altra cosa di cui vanno fieri in via Maritano. Intanto il Comune ha promesso il potenziamento del poliambulatorio, la ristrutturazione di una cascina abbandonata che potrebbe diventare un centro d’educazione ambientale, la chiusura degli spazi aperti ai piani terra degli stabili per farne spazi sociali, asili autogestiti, box o alloggi per anziani e portatori di handicap. A Begato sono previsti interventi per un milione e 600 mila euro cofinanziati da Comune e Regione. Si parla di recuperare 50 alloggi, di fare manutenzione agli alloggi vuoti e di ridurre i volumi.

Altri fondi potrebbero arrivare dalla Finanziaria. «Quanti soldi son passati di qui – borbotta qualcuno tra gli abitanti – che cosa ne hanno fatto?».

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